I PRIMI TESTI DI IMPORTANZA CULTURALE

I PRIMI TESTI DI IMPORTANZA CULTURALE PER LA STORIA LETTERARIA ITALIANA SI COLLOCANO INTORNO AL XIII SECOLO. Questo periodo si caratterizza per un dato determinante, e cioè per la presenza di una ancor ampia e omogenea unità culturale comprendente l’Europa occidentale, dove prevalse l’uso del latino, inteso sia come lingua ufficiale sia come lingua letteraria. Tuttavia in molte aree, per esempio nei paesi germanici e celtici, ma anche nei paesi romanizzati, esso era staccato dalla lingua parlata, e non era più toccato dal suo sviluppo; il latino era simile a una lingua straniera, che bisognava imparare, e che comunque assolveva a una pluralità di funzioni. Il latino era lingua cancelleresca, era lingua liturgica, erudita, era lo strumento espressivo della storiografia, della poesia cortigiana. Anche quando si volevano registrare le esperienze dell’individuo e della collettività, poiché la lingua materna vera e propria non aveva cultura, e neppure poteva essere scritta, bisognava fare uso del latino, che la mediazione cristiano-agostiniana aveva attestato su un livello stilistico medio, garante di una immediatezza espressiva sconosciuta allo stile elevato dell’antichità romana. Anzi, secondo Auerbach, tra XI e XIII secolo, la lingua latina visse un periodo di grande fioritura. Il numero di insegnanti e di studenti di latino si moltiplicò a dismisura sia nelle città che nelle corti. Nell’ambiente universitario si sviluppò la poesia goliardica in latino, vicina alla struttura della lingua popolare e di contenuto sensuale o satirico, oppure attraversata da temi propri della cultura cristiana. Nelle cancellerie fiorì il manierismo retorico che, nato nella tarda antichità, trovò nuove modalità espressive pur rifacendosi ai moduli canonici del cursus ritmico, della prosa rimata, del vocabolario ricercato, della sintassi difficile e solenne. Nell’ambito dell’elaborazione filosofica, teologica, scientifica, si sviluppò il latino della scolastica, una lingua scritta, tecnica e specialistica, ma non per questo poco raffinata, benché i neologismi in essa contenuti distruggessero l’armonia retorica del periodo classicamente impostato. Tutte queste scritture si fecero espressione della vita e degli orientamenti del pensiero contemporaneo, tuttavia erano frutto di una formazione scolastica specialistica e, in quanto tali, furono patrimonio di pochi, soprattutto appartenenti al clero. Gli stessi signori feudali il più delle volte sapevano appena apporre la propria firma, mentre la maggior parte delle istituzioni culturali e amministrative era in mano al clero, se si eccettua il mondo comunale, dove l’iniziativa politica, amministrativa e culturale fu in mano a giuristi e funzionari laici, che però avevano frequenti scambi con i dotti ecclesiastici. Ciò che distingueva la lingua comunemente usata, dal latino scritto o parlato dalla gente colta, era il lessico ristretto, la mancanza di unitarietà e l’estrema libertà concessa all’espressione. Questa lingua fu definita volgare, perché patrimonio dell’anonima moltitudine, che le conferiva diversa intonazione e diversa coloritura a seconda della classe sociale di appartenenza, del mestiere, del luogo di provenienza. Per esempio in Inghilterra, dove l’opera di cristianizzazione, che nel medioevo fu il principale strumento di diffusione del latino, si verificò tardi (tra VII e VIII secolo), il patrimonio etnico e linguistico del popolo anglosassone non venne intaccato. Latino e anglosassone riuscirono pertanto a coesistere anche dopo la riforma degli studi promossa da Alfredo il Grande di Wessex alla fine del IX secolo. In Inghilterra il latino fu usato come lingua erudita, ecclesiastica e didascalica, l’anglosassone costituì la lingua comunemente parlata, e al tempo stesso fu strumento di espressione letteraria. In area tedesca, la letteratura in lingua volgare esordì durante l’età di Carlo Magno. Egli promosse la redazione di una grammatica nella sua lingua madre, il franco renano, cioè l’antico tedesco. Dispose inoltre traduzione e lettura in tutte le lingue popolari delle leggi da lui emanate, affinché le capissero anche i laici, sebbene riprodurre con i segni latini i suoni di una lingua popolare fosse una operazione assai complicata, che restava affidata al clero, il quale deteneva il monopolio della scrittura. Per esempio il più antico testo in volgare gallo-romanzo, la sequenza di Eulalia, si trova su un foglio libero di un manoscritto del convento di Saint Amand sur l’Elnon, che contiene le opere dei Padri della Chiesa; di seguito alla sequenza, lo stesso monaco amanuense scrisse il Ludwigslied, o canto di Ludwig, che è in tedesco antico. I monaci pertanto, oltre al latino, conoscevano vari tipi di volgare e ne sperimentavano la composizione per iscritto. Nelle aree soggette al dominio romano il latino volgare persistette per secoli, riducendo al silenzio gli idiomi locali, benché in taluni casi venisse a patti con le peculiarità della loro pronuncia o ne assorbisse qualche vocabolo. Le alterazioni rimasero lente e insensibili, finché la salda unità dell’Impero rese rapidi e frequenti i contatti commerciali e culturali tra capitale e province, e si fecero più evidenti quando nel V secolo l’unità latina si ruppe definitivamente. Fu allora che le parlate locali, nate dallo stesso ceppo linguistico latino, poterono evolversi senza grossi ostacoli, dando luogo alle lingue romanze. In area gallo-romanza, una delle prime testimonianze di redazione di testi in lingua volgare è la già citata sequenza di Eulalia, risalente ai tempi di Carlo Magno (IX sec.).

LA NASCITA DEI GENERI LETTERARI

Le origini delle chansons de geste sono riconducibili al proliferare di una produzione agiografica in lingua volgare, che proponeva il modello dell’eroe, martire della cristianità. Poiché queste narrazioni venivano recitate pubblicamente dai giullari, che intrattenevano rapporti con gli ambienti ecclesiastici in cui venivano prodotti i testi agiografici, è possibile che il modello delle vite di santi abbia influenzato e ispirato il modello delle gesta dei cavalieri. I caratteri formali delle chansons de geste sono costituiti sia dall’impianto narrativo tipico della trasmissione orale, ricco cioè di richiami al pubblico e di formule, sia dalla struttura dei versi, o lasse, formati all’inizio da decasillabi legati tra loro non da una rima ma dal ripetersi di un’assonanza, e solo in seguito sostituiti da versi alessandrini o dalla prosa. Tra i temi trattati vi è quello dell’opposizione tra monarchi e vassalli, che esprime le esigenze autonomistiche dei grandi signori feudali di fronte alla debolezza del potere centrale tra XI e XII secolo, ma senza porre in discussione la natura etica del vincolo feudale. Il genere romanzesco, diffuso prevalentemente in lingua d’oil, cioè nel volgare francese delle regioni del Nord, è una particolare forma di narrazione in prosa, che tratta non più imprese collettive, ma avventure di singoli individui o di piccoli gruppi di cavalieri. Tali storie, nate nelle corti dalla cultura dei chierici e dalla scuola, sono caratterizzate da grande complessità e accolgono elementi sia storici che meravigliosi. L’eroe del romanzo si realizza impegnandosi nella conquista di un ben prezioso per amore di una donna. Molti romanzi sono ispirati a una materia classica, adattata alla realtà del mondo feudale. A tale gruppo appartengono i cicli riguardanti le vicende di Troia, di Tebe, di Alessandro Magno, oppure la mitologia cristiana e il repertorio sentimentale di Ovidio. A questo genere appartengono il Roman de Thèbe, o romanzo di Tebe, del 1150; il Roman de Troie, o romanzo di Troia, del 1160; il Roman de Alexandre o romanzo d’Alessandro, che ebbe una prima redazione nel 1112 e un rifacimento nel 1175 circa per opera di Alexandre de Berney. Gli altri romanzi si ispirarono alla materia bretone, incentrata sulle vicende di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, che destavano grande interesse tra la nobiltà anglo-normanna, principale committente di queste opere. Una prima sintesi della materia bretone venne fornita da Geoffrey of Monmouth, al servizio di Enrico I di Inghilterra, il quale fu autore di una Historia regum Britanniae, la storia dei re della Britannia, del 1137. Questa materia venne ripresa dal chierico Wace, che ne diede una traduzione in versi francesi, dal titolo Roman de Brut, romanzo di Bruto, del 1155. Una vera sistemazione poetica di questa materia venne operata da Chrétien de Troyes verso la seconda metà del XII secolo. Egli scrisse una serie di romanzi: Erec, Cligès, Lancelot (Lancillotto), Le chevalier au lion (il cavaliere del leone), Perceval (il racconto del Graal). Alla materia bretone appartiene anche la storia di Tristano e Isotta, in cui si narra la vicenda di Tristano, cavaliere di Marco, re di Cornovaglia, che inviato da questi a prelevare la futura sposa, Isotta, si innamora di lei per azione di un filtro magico e con l’amata va incontro a un tragico destino. Temi comuni a questi romanzi sono il viaggio, inteso come avventura imprevedibile, che connota la vicenda del cavaliere, collocandolo al di fuori del mondo, in una realtà in cui cessa ogni regola nota; vi è poi il codice dell’onore feudale, che viene sempre rispettato; infine il tema dell’amore cortese, visto come forza assoluta, estraneo al vincolo del matrimonio, che trova riconoscimento solo in se stesso, al di là di ogni riconoscimento sociale. In queste opere la classe feudale poteva vedere rispecchiati i propri valori, ma anche le proprie inquietudini e la propria diversità di fronte a una realtà che stava subendo profonde modificazioni sociali. I tre nuovi generi della lirica, dell’epica e del romanzo, composti in volgare francese o in provenzale esercitarono all’estero un grandissimo influsso per due motivi. Sul piano linguistico, essi presentavano quell’impronta unitaria e omogenea che è propria della lingua letteraria; sul piano dei contenuti, essi si facevano portatori di un mondo di valori sentiti come comuni, tanto da imporsi come modelli in base ai quali unificare ogni lingua nazionale e quindi conferirle veste letteraria. IN ITALIA, le prime attestazioni di una diglossia, cioè di una distinzione tra funzioni diverse della stessa lingua (l’una destinata alla comunicazione scritta, l’altra alla comunicazione orale e quotidiana), si hanno già verso il IX secolo. A quest’epoca risale infatti il celebre indovinello, inserito per mano di un copista veronese in un codice liturgico mozarabico della Biblioteca Capitolare di Verona, in cui vengono inseriti elementi volgari su una base latina. Al 963 risalgono invece le formule testimoniali del territorio di Montecassino, inserite nel testo latino del protocollo, mentre di epoca più tarda sono la formula di confessione umbra, proveniente dall’abazia di Sant’Eutizio, presso Norcia, e l’iscrizione su un affresco della chiesa inferiore di San Clemente, a Roma, dove si raffigurano dei pagani che credono di aver catturato San Clemente, mentre invece hanno tra le mani una colonna: costoro si esortano a vicenda a trascinare il peso, scagliando improperi in romanesco, che vengono registrati sull’affresco come in un grande fumetto. Al di là di queste sparute testimonianze, si può affermare che solo a partire dal Duecento in Italia sorsero opere che per forma e/o per contenuto rivelano di essere state destinate alla diffusione attraverso la vendita, oppure alla recitazione entro ambiti più o meno ristretti, o alla lettura individuale. Ciò fu dovuto a un allargamento del pubblico di fruitori delle opere scritte in volgare, direttamente proporzionale all’allargamento dei poteri di gestione politica ed economica che, nei Comuni cittadini indipendenti, venne affidata a gruppi sociali emergenti. Tuttavia in altre aree permasero corti principesche e feudali, che si servirono del volgare per esprimere altri bisogni di tipo culturale. Il volgare italiano non nacque dunque come lingua unitaria e dai caratteri uniformi: si sviluppò invece attraverso molteplici esperienze sostanzialmente autonome. Mancando un centro politico unificante, le realtà linguistiche locali furono confinate nel rango dei dialetti, mentre la ricerca di una lingua unitaria fu indissolubilmente connessa a una vivace dialettica tra centri culturali diversi e all’elaborazione di modelli letterari.

LA LINGUA D’OC, LA LINGUA D'OIL

I casi più frequenti di redazione scritta in volgare francese riguardano composizioni poetiche religiose, in particolare agiografiche, cioè i racconti delle vite o dei miracoli compiuti dai santi, di cui c’era molta richiesta per ammaestrare la comunità cristiana alla quale, durante la cerimonia liturgica, ci si rivolgeva in volgare durante la predica. Questi testi agiografici in volgare erano pertanto destinati a una trasmissione orale che avveniva sia durante le prediche che nel corso di spettacoli pubblici, rappresentati nelle piazze antistanti le chiese per opera di giullari. Tra IX e XII secolo IN AREA ROMANZA si andò sviluppando anche una poesia profana, di cui restano frammenti di testi, trascritti ai margini di manoscritti contenenti prediche in latino o brani tratti dalla Bibbia. Anche questi testi poetici non erano destinati alla lettura individuale o collettiva; essi venivano trasmessi oralmente, cioè imparati a memoria e recitati. Solo tra XII e XIII secolo, NEI TERRITORI LINGUISTICI FRANCOPROVENZALI si ebbe una diffusione di manoscritti contenenti composizioni poetiche in lingua volgare. Le principali committenti furono le dame dell’aristocrazia anglo-normanna che, in una struttura statale sempre più policentrica, gareggiavano per confermare il proprio prestigio nello sfoggio di un tenore di vita elevate, di una cultura più raffinata. Tali opere poetiche proponevano infatti a signori e cavalieri una definizione simbolica dei propri valori, della dignità e della forza di espansione della propria classe. Esse sono raggruppabili in tre grandi generi: la lirica amorosa, l’epica carolingia, il romanzo cortese. Questi trovarono espressione in due varianti linguistiche: quella d’oc, del Sud, e quella d’oil, del Nord della Francia. La lirica amorosa provenzale, in lingua d’oc, nacque nell’XI secolo per opera dei trovatori che, a differenza dei giullari (i quali recitavano e componevano a pagamento), erano persone colte, tecnicamente te preparate. La loro abilità era al servizio dell’esclusività; da ciò deriva la difficoltà di questa lirica, e non solo sul piano fonetico e sintattico, ma anche sul piano della ricerca di un significato. Ma il trovatore non era solo poeta: era anche cantore. Le forme musicali dei trovatori derivavano dagli inni religiosi, e sulla struttura degli inni venne costruita anche la struttura del verso e della strofa, che presenta un’estrema varietà tecnica. La forma metrica tipica dei provenzali è la canso, o canzone, articolata per strofe di numero variabile e chiusa da una tornada, cioè da un indirizzo al destinatario. La strofa si presenta costituita da versi della stessa lunghezza o di lunghezze diverse disposti in modo da formare una fronte ed una coda, che racchiudono in embrione la struttura del sonetto. Questa lirica affronta vari temi: la guerra, la morale, la politica, i valori feudali e militari. Tuttavia quello predominante è la lode della donna, che diventa lo scopo stesso della poesia. Per questo motivo i poeti provenzali non si riferiscono mai a un singolo soggetto, bensì all’essere perfetto, al tipo ideale che può determinare il perfezionamento sociale e morale dell’uomo. E la donna, resa per la prima volta partecipe del gioco del sesso trasformato in nobile rituale, viene sottratta alla legge dell’appagamento. Tale rituale si basa infatti sul corteggiamento, non sulla conquista ed il suo fine è la spiritualizzazione. In ciò la lirica provenzale mostra affinità con la distinzione qualitativa tra amore sensuale e amore spirituale operata da Platone e dalla gnosi. Tuttavia i poeti provenzali riconducono la spiritualità a una dimensione terrena; l’amore che essi celebrano è nobile poiché innalza l’uomo, liberando la nobiltà di censo dai residui di una rozza mascolinità; essi parlano infatti di fins amors, che si oppongono a un amore vilan, cioè volgare, rozzo, incolto. L’innalzamento della figura femminile si collega probabilmente ai procedimenti di diritto feudale, che in alcune zone avevano introdotto la pratica della trasmissione dei diritti ereditari alle donne, ma serve anche a configurare questa poesia come metafora del rapporto che univa il vassallo al suo signore. Gli esponenti più rappresentativi di questa “lirica del desiderio inappagato” furono Guglielmo IX, duca di Aquitania, Jaufre Rudel, signore feudale, Bernart de Ventadorn, vissuti nel XII secolo; mentre agli inizi del secolo successivo si colloca la produzione di Arnaut Daniel, Bertran de Born, Guiraut de Bornelh. Il genere epico si diffuse tramite le chansons de geste. Questo termine designa un’epica narrativa che cantando le azioni di eroi esprime lo spirito collettivo di grandi masse di uomini. Le prime redazioni nacquero all’epoca della grande espansione normanna dell’XI secolo. Vi sono cicli di canzoni dedicati alle gesta di Guglielmo d’Orange e cicli incentrati sulle gesta degli antichi guerrieri franchi e dei paladini di Carlo Magno, che vengono rappresentati come campioni di eroismo, poiché sgominano i saraceni infedeli. Il più famoso tra questi è il ciclo di Rolando o Chanson de Roland ispirato alla spedizione di Carlo Magno contro i Musulmani di Spagna nel 778. Vi si narra lo sterminio della retroguardia dell’esercito di Carlo Magno per opera dei Saraceni.

CIELO D’ALCAMO

1250 circa

Cielo, diminutivo di Michele, provenne dalla cittadina siciliana di Alcamo. Fu probabilmente un giullare, e fu attivo nel periodo di maggiore fioritura della scuola siciliana. Infatti il suo contrasto: ROSA FRESCA AULENTISSIMA, composizione dialogata e popolareggiante, venne scritto dopo il 1231 e prima del 1250 e mostra strette analogie con le PASTORELLE, componimenti trobadorici provenzali e francesi.

FRANCESCO D'ASSISI

ASSISI (PG) 1181/82 – 1226

Figlio di un ricco mercante, condusse vita agiata e mondana fino alla profonda crisi spirituale, che determinò la rinuncia ai beni paterni e l’inizio di un fervido apostolato. Nel 1223 ottenne da papa Onorio III l’approvazione della nuova regola monastica, adottata dai seguaci costituitisi in comunità attorno a lui. Oltre alle due redazioni della REGOLA, ci restano scritti in lingua latina e le celebri LAUDES CREATURARUM O CANTICO DI FRATE SOLE, che sono la prima manifestazione di poesia religiosa in lingua volgare, benché si tratti ancora del dialetto umbro.

FEDERICO II

IESI (AN) 1194 – FIORENTINO DI PUGLIA (FG) 1250

Figlio di Enrico VI di Svevia e di Costanza d’Altavilla, fu re di Sicilia e di Germania, e nel 1220 ottenne la corona imperiale da papa Onorio III. Conscio del ruolo dell’Impero, perseguì l’ambizioso disegno di creare nell’Italia meridionale uno stato capace di superare particolarismi e dispersioni mediante un forte accentramento dei poteri ed una efficiente burocrazia. Si preoccupò quindi di creare un corpo di funzionari da preporre a compiti amministrativi e giudiziari, ed a tale scopo fondò l’Università di Napoli nel 1224 e riordinò la Scuola medica di Salerno, istituendo anche la prima cattedra di anatomia d’Europa. La sua corte fu soprattutto un luogo di alta cultura, dove confluivano le più vive esperienze del mondo arabo e cristiano e dove si sperimentava una raffinata poesia in volgare, classificata in seguito da Dante come lirica siciliana. Della sua attività letteraria in volgare restano quattro componimenti poetici, oltre ad un trattato di arte venatoria, scritto in latino.

GHERARDO PATECCHIO

CREMONA, attestato in un documento del 1228

Di lui si sa che fu notaio e che sottoscrisse insieme ad altri un trattato di pace fra le città di Cremona e di Parma. Fu autore di una raccolta di ammaestramenti morali in volgare lombardo, redatta in distici alessandrini, in cui si prendono a modello esempi sacri e profani: SPLANAMENTO DE LI PROVERBII DE SALAMONE; scrisse anche LE NOIE, un catalogo in decasillabi di cose moleste, fatte coincidere il più delle volte con azioni o fatti riprovevoli.

ANONIMO DEL NOVELLINO

Anonimo autore di una raccolta di novelle composta nell’ultimo ventennio del Duecento. La rappresentazione minuziosa di personaggi, ambienti e luoghi di Firenze induce a ritenere che fosse fiorentino.

GIANNI ALFANI

FIRENZE, secolo XIII

È stato identificato con un mercante della seta o con un Gianni di Forese degli Alfani, gonfaloniere di giustizia nel 1311. Restano di lui un sonetto burlesco e sei ballate, alla maniera di Cavalcanti.

DANTE ALIGHIERI

FIRENZE 1265 – RAVENNA 1321

Appartenente alla piccola nobiltà guelfa, partecipò attivamente alla vita politica del comune di Firenze. Pur cercando di porsi al di sopra delle parti, si avvicinò alla fazione guelfa dei Bianchi, che perseguiva una politica di autonomia comunale e che si opponeva ai Neri, legati al papato da interessi mercantili. Nel 1301, mentre era a Roma in missione diplomatica presso papa Bonifacio VIII, fu colpito dalla repressione degli avversari politici. Ingiustamente accusato di baratteria, concussione, estorsione e opposizione sediziosa alla politica papale trascurò di discolparsi e fu condannato dapprima al confino, poi alla morte sul rogo. La gravità della pena comminatagli lo costrinse ad evitare il rientro in patria. Soggiornò pertanto a Treviso, a Padova, Venezia, Verona, infine a Ravenna, dove morì. Se l’esilio costituì una lacerazione affettiva, esso fu tuttavia per Dante occasione di ampliamento dell’esperienza politica e di superamento degli orizzonti comunali. Ciò gli permise di intervenire nel dibattito politico contemporaneo con il trattato DE MONARCHIA che, come l’altra opera teorica: DE VULGARI ELOQUENTIA e le EPISTOLE, è scritto in latino, poiché rivolto ad un pubblico colto. La consapevolezza dell’ingiustizia subita indusse inoltre Dante ad approfondire la riflessione sullo scopo della conoscenza e sulla missione dell’intellettuale, già intrapresa nella produzione poetica in lingua volgare, destinata ad un pubblico più ampio. In essa, pur muovendo dallo stilnovo, egli approda a soluzioni contenutistiche e formali uniche rispetto alla letteratura contemporanea. A tale produzione una parte degli studiosi ascrive IL FIORE, un poemetto anonimo costituito da una collana o corona di sonetti, in cui si descrive il processo amoroso concluso dalla conquista fisica della donna. Di indubbia attribuzione sono invece: LA VITA NUOVA, una sorta di antologia poetica, accompagnata da parti in prosa in cui si elabora la storia dell’amore per Beatrice, che funge da chiave interpretativa e da giustificazione delle liriche; LE RIME, una raccolta poetica priva di ordine sistematico; IL CONVIVIO, un corpus di canzoni con commento, precedute da un trattato introduttivo; LA DIVINA COMMEDIA, un poema allegorico in tre cantiche, che descrivendo un viaggio-visione nei tre regni dell’aldilà, permette a Dante di filtrare attraverso l’esperienza biografica la cultura e le problematiche contemporanee, facendole confluire in una sintesi originalissima.

CECCO ANGIOLIERI

SIENA 1260 – 1313 ca.

Le scarne notizie su di lui attestano l’appartenenza a una nobile e ricca casata, una vita condotta all’insegna della sregolatezza, una morte avvenuta in miseria. Il suo CANZONIERE consta di 112 sonetti, di stile comico realistico, che denunciano una dipendenza dai modi guittoniani.

DOMENICO CAVALCA

VICOPISANO (PI) 1270 ca. – PISA 1342

Predicatore domenicano, tradusse in volgare trattati ascetici, nei quali inserì sonetti, laude e sirventesi. Scrisse le VITE DEI SANTI PADRI, un’opera ricca di exempla, brevi racconti riportati da varie fonti per avvalorare le argomentazioni etico religiose svolte nelle prediche.

GUIDO CAVALCANTI

FIRENZE 1258 – 1300

Guelfo bianco, rampollo di una potente casata, si oppose alle riforme del Comune fiorentino che escludevano i magnati dalle cariche pubbliche. Acerrimo nemico di Corso Donati, si distinse come autore di disordini. Bandito da Firenze proprio quando tra i priori del Comune vi era il suo amico Dante, in esilio contrasse una forma mortale di malaria. Nel suo CANZONIERE giunge ad una rappresentazione pessimistica dell’esperienza sentimentale, non esente da influssi del pensiero averroistico e da moduli dottrinari ed ermetici.

DINO COMPAGNI

FIRENZE 1255 ca. – 1324

Mercante fiorentino e guelfo bianco, fu esponente dell’ala democratica della fazione e collaborò agli Ordinamenti di giustizia di Giano della Bella, che escludevano i magnati dall’esercizio del potere. Divenuto priore, sì oppose fermamente all’intervento di Carlo di Valois, voluto dai Neri e pur evitando l’esilio, fu costretto a dimettersi. La CRONICA da lui redatta, quasi un memoriale, rievoca in chiave autobiografica la Firenze degli anni 1280 – 1312.

RINALDO D’AQUINO

MONTELLA (AV) 1227 ca. – 1281 ca.

Mancano precise attestazioni sul periodo in cui visse. Appartenente forse alla famiglia di S. Tommaso d’Aquino, fu tra gli esponenti della scuola siciliana più apprezzati dai contemporanei. Della sua opera restano 11 componimenti: canzoni di stile aulico, una canzonetta di tono popolareggiante e di stile medio, due sonetti.

GUITTONE D’AREZZO

AREZZO 1230 ca. – FIRENZE 1294

Esponente della ricca borghesia guelfa, fu mosso da vivo impegno civile fino al punto di separarsi dalla moglie e dai figli per entrare nell’Ordine dei Cavalieri della Beata Vergine Maria, il cui obiettivo era la propaganda religiosa. Di lui restano una vasta raccolta di rime e numerose lettere in volgare, mosse per lo più da una tensione moralistica e da un intento didattico e propagandistico.

CECCO D’ASCOLI

ANCARANO (TE) 1269 – FIRENZE 1327

Francesco Stabili, lettore di medicina presso l’università di Bologna, fu rimosso dall’incarico perché tacciato di eresia. A Firenze divenne medico ed astrologo del duca di Calabria, fratello di Roberto d’Angiò, ma subì un altro processo per eresia e fu condannato al rogo. Scrisse in volgare pochi sonetti ed un poema didascalico: ACERBA ETAS, in cui si avvale di conoscenze astrologiche, alchemiche e naturalistiche per affermare il principio della separazione fra teologia e scienza della natura.

GUIDOTTO DA BOLOGNA

1250 circa

Dedicò a Manfredi, figlio naturale di Federico II di Svevia, la traduzione di DE INVENTIONE di Cicerone e di RHETORICA AD HERENNIUM, di autore anonimo, erroneamente attribuita a Cicerone. L’opera, che è un libero rifacimento dei due testi fondamentali della retorica classica, fu redatta fra 1254 e 1266 e costituisce l’unica fonte per collocare l’autore.

BONVESIN DA LA RIVA

MILANO 1250 – 1315

Frate laico ascritto al terzo Ordine degli Umiliati, fu insegnante in una scuola di sua proprietà, ponendosi al servizio dell’agiata borghesia milanese. La sua produzione consta di testi latini, di traduzioni e divulgazioni da autori latini, finalizzate all’insegnamento, e di venti poemetti in volgare milanese, tra cui spicca il LIBRO DELLE TRE SCRITTURE (1274) in quartine, monorime di alessandrini, diviso in tre parti dedicate rispettivamente alla scrittura negra, cioè all’inferno, alla scrittura rossa, cioè alla passione di Cristo, e alla scrittura dorata, ovvero al paradiso.

GIACOMO DA LENTINI

LENTINI (SR) 1210 ca. – 1260 ca.

Funzionario imperiale presso la corte di Federico II, notaio, viene citato in documenti compresi fra 1233 e 1240, epoca nella|quale fu attivo anche come iniziatore e capo della scuola siciliana. Nei suoi 38 componimenti poetici sperimenta con originalità tutte le forme della lirica: la canzone di stile aulico, la canzonetta di tono narrativo e di stile medio, il sonetto, di cui fu il probabile inventore, nonché il più raro discordo.

CINO DA PISTOIA

PISTOIA 1270 – 1336/37

Il pistoiese Guittoncino dei Sighibuldi fu guelfo di parte nera, giurista e docente di diritto in famose università; esiliato in gioventù per motivi politici, fu riaccolto in patria, dove collaborò al governo cittadino fino alla morte. Il suo ampio canzoniere mostra, pur nella personale reinterpretazione, una totale adesione ai modelli stilnovistici.

BARTOLOMEO DA SAN CONCORDIO

LUCCA 1262 ca. – 1347

Appartenne all’Ordine domenicano e scrisse una raccolta di sentenze degli antichi, che mise a confronto con i precetti del cristianesimo. L’opera, scritta in lingua latina, fu dall’autore stesso tradotta in lingua volgare ad uso dei maestri e dei predicatori, ma anche dei giuristi.

FOLGORE DA SAN GIMINIANO

SAN GIMIGNANO (SI) 1265 – 1332

Giacomo di Michele soprannominato Folgore, cioè splendore, fu cavaliere al servizio del comune di S. Gimignano e di Siena. Il suo CANZONIERE consta di 14 sonetti dedicati ai mesi dell’anno, di 8 sonetti dedicati ai giorni della settimana e di 5 sonetti che celebrano le virtù cavalleresche. Se l’ispirazione della sua opera non si discosta da quella dei poeti comico realistici, la scelta dei modelli formali e i raffinati quadri di vita galante rivelano un gusto aristocratico.

JACOPONE DA TODI

TODI (PG) 1230 o 1236 – COLLAZZONE (PG) 1306

Jacopo de’ Benedetti, di nobile famiglia, notaio e procuratore, ebbe una profonda crisi spirituale dopo la morte della giovane moglie ed entrò nell’Ordine Francescano. Favorevole all’ala più intransigente, quella degli spirituali, fu tra i sottoscrittori di un manifesto di opposizione a papa Bonifacio VIII, che ne aveva abrogato il riconoscimento ufficiale e pagò tale gesto con la scomunica e la carcerazione. Scrisse 92 laude in dialetto umbro in cui tematiche del repertorio ascetico e mistico si fondono al dato autobiografico con esiti unici.

GIACOMINO DA VERONA

Fine del 1200

Si sa che fu frate francescano e che compose due poemetti in quartine monorime di versi alessandrini: DE JERUSALEM CELESTI e DE BABILONIA CIVITATE INFERNALI. L’uso del volgare veronese, efficace per lessico, è funzionale all’intento divulgativo dell’opera in cui si descrivono le gioie dei beati e le pene dei dannati.

CHIARO DAVANZATI

FIRENZE 12?? – 1303 o 1304

Capitano del popolo di parte guelfa, il suo ricco canzoniere rivela la sua abilità di divulgatore e rielaboratore di temi e modelli propri della poesia siciliana, guittoniana e stilnovista.

CENNE DE LA CHITARRA

ANCARANO (TE) 1269 – FIRENZE 1327

Francesco Stabili, lettore di medicina presso l’università di Bologna, fu rimosso dall’incarico perché tacciato di eresia. A Firenze divenne medico ed astrologo del duca di Calabria, fratello di Roberto d’Angiò, ma subì un altro processo per eresia e fu condannato al rogo. Scrisse in volgare pochi sonetti ed un poema didascalico: ACERBA ETAS, in cui si avvale di conoscenze astrologiche, alchemiche e naturalistiche per affermare il principio della separazione fra teologia e scienza della natura.

SENNUCCIO DEL BENE

FIRENZE 1275 ca. – AVIGNONE (Francia) 1349

Guelfo bianco e sostenitore di Arrigo VII, fu grande amico di Petrarca e scrisse un CANZONIERE alla maniera stilnovista.

GUIDO DELLE COLONNE

ROMA o MESSINA 1210 ca. – 1287 ca.

Nato forse nel 1210, compare in atti fra 1243 e 1280. – Giudice di Messina, fu personalità di spicco nella scuola siciliana e probabilmente affiancò alla produzione in volgare anche quella in latino. Di lui restano solo 5 canzoni, notevoli per maestria stilistica, retorica e metrica.

RUSTICO DI FILIPPO

FIRENZE 1230 ca. – 1300 ca.

Fiorentino di parte ghibellina, fu noto soprattutto in ambiente toscano. Della sua opera poetica in volgare restano 58 sonetti, in cui sono parimenti rappresentate le due maniere poetiche: quella aulica di argomento amoroso, e quella comico-realistica dove sono presenti sia la satira misogina che quella politica e il lessico dialettale prevale su quello aulico, utilizzato a soli fini caricaturali.

BUCCIO DI RANALLO

L’AQUILA 1294 ca. – 1363

Esponente forse della piccola nobiltà terriera, morì di peste. Oltre ad un’opera agiografica in versi su Santa Caterina di Alessandria, scrisse una CRONICA, anch’essa in rima, in cui con toni ora epici, ora realistici, tratta la storia dell’Aquila dalla fondazione al 1362.

FORESE DONATI

FIRENZE 1250 – 1206

Detto Bicci, fu fratello di Piccarda, monaca nell’Ordine di Santa Chiara, e di Corso Donati, che rapì la sorella per darla in sposa ad un capo della fazione dei guelfi neri. Si esercitò nello stile comico realistico, come testimonia uno scambio di sonetti con Dante Alighieri che, sebbene fosse suo avversario politico, gli fu amico e lo ricordò nella Commedia assieme agli altri suoi familiari.

ENZO DI SVEVIA

PALERMO 1220 – BOLOGNA 1272

Figlio naturale di Federico II di Svevia, nominato re di Sardegna nel 1249, venne sconfitto dai guelfi nella battaglia di Fossalta; rinchiuso nel castello di Bologna, vi rimase prigioniero fino alla morte. Fu poeta di indubbia originalità, tuttavia della sua produzione restano solo un sonetto, due canzoni di stile aulico ed un frammento di canzone.

GUIDO FABA

BOLOGNA 1190 ca. – 1243 ca.

Maestro di retorica, intraprese la carriera di notaio. In due manuali che ebbero molta influenza per quasi tutto il XIV secolo, GEMMA PURPUREA e PARLAMENTA ET EPISTOLAE, egli cercò di nobilitare la prosa volgare fornendo numerosi esempi di lettere private in cui le regole stilistiche previste dai canoni retorici latini, cioè dalle artes dictandi, venivano adattate alla lingua volgare.

DINO FRESCOBALDI

FIRENZE 1271 ca. – 1316 ca.

Autore di una ventina tra canzoni e sonetti, assimilò in modo originale la lezione dei due maestri fiorentini dello stilnovo: Guido Cavalcanti e Lapo Gianni.

BONO GIAMBONI

FIRENZE 1240 ca. – 1292 ca.

Giurista e letterato, fu abile e rinomato traduttore e divulgatore di opere tardo classiche e medievali. Fu autore originale di un trattato morale-allegorico in prosa volgare: LIBRO DE’ VIZI E DELLE VIRTUDI, che mette in scena un percorso autobiografico di peccato e redenzione, espresso in un linguaggio che riproduce autonomamente l’andamento stilistico e la struttura sintattica della lingua latina.

LAPO GIANNI

FIRENZE, fine del 1200

Forse identificabile con un notaio amico di Dante Alighieri, Lapo Gianni de’ Ricevuti, fu attivo a Firenze negli anni 1298-1328. Della sua opera restano 17 componimenti oltre all’apprezzamento dello stesso Dante, che lo annovera fra i pochi toscani che raggiunsero l’eccellenza nell’uso del volgare.

GUIDO GUINIZELLI

BOLOGNA 1230 ca. – MONSELICE (PD) 1276

Bolognese di famiglia ghibellina, svolse la professione di giudice. Fu attivo politicamente e si oppose ai guelfi che facevano capo alla famiglia Geremei. La vittoria di questi ultimi lo costrinse all’esilio a Monselice, dove morì. Restano di lui 5 canzoni e 15 sonetti, che documentano una rivisitazione personale dei modelli siciliani e guittoniani oltre che una grande originalità di impostazione dottrinale della tematica amorosa.

BRUNETTO LATINI

FIRENZE 1220 – 1294

Notaio della cancelleria fiorentina, di parte guelfa, venne inviato in missione da Alfonso X, re di Castiglia per chiederne l’appoggio contro i ghibellini sostenuti da re Manfredi. Raggiunto dalla notizia della sconfitta guelfa a Montaperti, riparò in Francia. La sua produzione consta fra l’altro di due poemi in distici di settenari: IL TESORETTO e IL FAVOLELLO, dove emerge un preciso intento didattico e divulgativo, volto alla formazione culturale della classe dirigente comunale.

BONAGIUNTA ORBICCIANI

LUCCA 1220 ca. – 1290 ca. (muore prima del 1300)

Notaio e poeta, la sua produzione consistente in canzoni, sonetti, ballate e discordi, costituisce un tramite importante fra scuola siciliana e Stilnovo.

MARCO POLO

VENEZIA 1254 – 1324

Mercante veneziano, giunse fino in Cina, dove conobbe il gran Khan Qubilai, per il quale svolse importanti missioni diplomatiche. Fatto prigioniero nel corso di una guerra tra Venezia e Genova, nelle carceri genovesi conobbe un letterato, Rustichello da Pisa, cui dettò il resoconto dei suoi viaggi. Seguendo l’uso medievale, il titolo dell’opera, che si pone alla confluenza di generi disparati: la cronaca, il romanzo d’avventure, il manuale di mercatura, fu scambiato con il nome dell’autore, anzi con il soprannome dato alla sua famiglia, quello di EMILIONE.

GIACOMINO PUGLIESE

Non si hanno precise indicazioni biografiche.

Non fu aristocratico, poiché non è citato con il titolo di messere. Fu poeta colto, nonostante la predilezione per i generi più dimessi, come la canzonetta di stile medio, il discordo, la canzone di commiato. Di lui restano 8 componimenti poetici, quasi tutti in metro breve, nei quali mescola la passionalità immediata a temi di natura provenzale e cortese.

GIOVANNI VILLANI

FIRENZE 1275/80 – 1348

Di famiglia popolana, mercante e socio della compagnia bancaria dei Peruzzi, rivestì incarichi amministrativi di rilievo nel Comune di Firenze; divenuto socio della compagnia dei Buonaccorsi, fu accusato di malversazione e poi coinvolto nel fallimento della banca. Morì durante un’epidemia di peste. Fu autore di una CRONICA in 12 libri che, secondo la tradizione medievale, trattano la storia universale dalla costruzione della torre di Babele al 1346.

ANONIMO ROMANO

?/? – Fu autore di una CRONICA in cui si narrano avvenimenti della città di Roma e del mondo nel periodo compreso fra 1325 e il 1357. Dalla sua opera si evince che la sua cultura fu improntata allo studio dei classici e della retorica, che probabilmente studiò presso l’Università di Bologna. Visse a Roma fra 1357 e 1360.

GIOVANNI BOCCACCIO

CERTALDO o FIRENZE 1313 – CERTALDO 1375

• Figlio naturale di un agente bancario dei Bardi, finanziatori della monarchia angioina, fu inviato a Napoli per completare l’apprendistato bancario con lo studio del diritto. Gli intellettuali gravitanti attorno alla corte del mecenate Roberto d’Angiò orientarono la sua cultura verso l’erudizione enciclopedica, che ne caratterizzò gli interessi e la produzione letteraria. Costretto a rientrare a Firenze per sopravvenute difficoltà economiche del padre, si pose rapidamente in contatto con personalità di rilievo, quali Forese Donati, Sennuccio del Bene, Giovanni Villani e girò per varie corti del Nord, forse in cerca di una sistemazione. Intorno al 1348, negli anni della peste, ricoprì vari incarichi a Firenze e conobbe Petrarca, la cui amicizia influenzò l’adesione ai nuovi ideali umanistici. Malattie, dispiaceri familiari contrassegnarono gli ultimi anni, resi difficili anche dalla povertà incombente, cui cercò di porre rimedio prendendo gli ordini minori, che garantivano una piccola rendita. Tuttavia non smise l’attività intellettuale dedicandosi alla stesura di una biografia ed alla raccolta di opere dantesche, infine alla pubblica lettura ed al commento della Commedia, affidatigli dal Comune fiorentino. La vasta produzione di Boccaccio consta di opere in poesia ed in prosa oltre che di opere erudite in latino composte dopo il 1351, allorché si dedicò agli studi classici. Al genere narrativo in volgare appartengono: FILOCOLO, o VINTO D’AMORE, romanzo in prosa tratto da una leggenda medievale, incentrata sugli amori di Florio e Biancifiore; COMEDIA DELLE NINFE, o NINFALE D’AMETO, in prosa alternata a rime dantesche, in cui sette ninfe, che simboleggiano le virtù cardinali e teologali, raccontano al pastore Ameto le loro esperienze sentimentali; ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA, un romanzo costituito dal lungo monologo della protagonista – Fiammetta – la quale narra l’infelice amore per il mercante fiorentino Panfilo; DECAMERON, cento novelle che l’autore immagina raccontate da sette donne e tre uomini, e che si impone per la novità dei registri stilistici utilizzati e per l’espressione di valori propri della borghesia mercantile cui era destinato come libro di lettura amena; CORBACCIO, titolo che allude alla frusta, oppure al corvo, simbolo della passione amorosa, una satira contro le donne scritta in forma di invettiva.

MARCHIONNE BONAIUTI

FIRENZE 1336 – 1386

• Di famiglia agiata, tenne cariche pubbliche a Firenze e fu podestà di Montecatini; scrisse una CRONACA FIORENTINA che da Adamo giunge fino al 1385.

POGGIO BRACCIOLINI

TERRANOVA IN VALDARNO (AR) 1380 – FIRENZE 1459

• Storico ed erudito, latinista e scrittore elegante, ricoprì l’incarico di segretario apostolico in Vaticano; soggiornò a lungo in Europa, recuperando antichi codici di opere classiche, fu cancelliere della Repubblica Fiorentina. La sua produzione, tutta in latino, consta di trattati, di una vasta produzione epistolare e di opere storiografiche da cui emerge la concezione che gli eventi storici siano frutto della volontà politica di singole individualità.

LEONARDO BRUNI

AREZZO 1370 – FIRENZE 1444

• Detto Aretino; abile traduttore dal greco in latino di opere storiografiche, filosofiche, oratorie, divenne funzionario della Curia romana durante il pontificato di Innocenzo VII, e fu cancelliere della repubblica fiorentina. La sua produzione, tutta in latino, è volta ad esaltare la validità della lingua volgare di fronte alle lingue classiche, e a promuovere l’abbandono della concezione provvidenzialistica della storia di stampo medievale.

ANDREA DA BARBERINO

BARBERINO IN VALDELSA (FI) 1370 ca. – FIRENZE 1432

• Cantore di piazza, tradusse e rielaborò molti romanzi francesi tratti dalle leggende del ciclo carolingio e bretone, arricchendoli di particolari avventurosi ed eliminandone il primitivo carattere aristocratico e militare, per adattarli alle esigenze di un pubblico borghese. Tra i più famosi sono: I REALI DI FRANCIA, GUERIN MESCHINO.

PAOLO DA CERTALDO

FIRENZE 1320 ca. – 1370 ca.

• Discendente da una famiglia di giudici, esercitò la mercatura e forse ricoprì anche qualche incarico pubblico. Scrisse un LIBRO DI BUONI COSTUMI, una raccolta di precetti di ordine morale e comportamentale senza ordine preciso, ad uso dei mercanti.

BERNARDINO DA SIENA

MASSA MARITTIMA (GR) 1380 – L’AQUILA 1444

• Di nobile casato, non compì studi regolari, ma si occupò di diritto, di lettere e di filosofia. Entrò quindi nell’Ordine dei francescani minori, di cui fu vicario generale; processato come eretico, ottenne l’assoluzione. Fu autore di trattati in latino ed in volgare e con le sue prediche rinnovò la letteratura ascetica in lingua volgare.

CATERINA DA SIENA

SIENA 1347 – ROMA 1380

• Figlia di un tintore, fece parte dell’Ordine laico delle Mantellate domenicane e si impegnò a favore delle riforme della Chiesa e del ritorno dei papi dall’esilio avignonese. Per lungo tempo analfabeta, dettò ai discepoli il DIALOGO DELLA DIVINA PROVVIDENZA in cui affronta argomenti dottrinari, ed inviò più di 300 lettere a papi, re, umili e potenti, in cui il contenuto mistico si mescola a quello politico, nel tentativo di promuovere soluzioni ai problemi del suo secolo.

GREGORIO DATI

FIRENZE 1362 – 1435

• Gregorio Dati fu scrittore, storico, mercante e partecipò alla vita pubblica fiorentina ottenendo numerosi incarichi e magistrature. Scrisse una sorta di libro di memorie cui diede il titolo di LIBRO SEGRETO, denominazione usata per i registri delle compagnie mercantili in cui si annotavano le forme di accordo sulla divisione degli utili tra i partecipanti; scrisse inoltre una ISTORIA DI FIRENZE DAL 1346 AL 1406 e un poemetto astronomico.

FILIPPO DEGLI AGAZZARI

SIENA 1339 ca. – 1422

• Priore del convento di Lecceto, fu autore di exempla: ASSEMPRI, in cui cerca di avvalorare una visione della vita basata sulla lotta tra bene e male.

FAZIO DEGLI UBERTI

PISA 1305 ca. – VERONA 1367 ca.

• Discendente dalla dinastia ghibellina degli Uberti scacciata da Firenze nel 1267, si adoperò per la restaurazione del potere imperiale in Italia. Fu autore di canzoni politiche, di liriche amorose e di un poema allegorico in terzine: DITTAMONDO, viaggio immaginario nei tre continenti, che si avvale di un’autonoma rielaborazione delle conoscenze geografiche e scientifiche di età medievale.

GIOVANNI DI PAGOLO MORELLI

FIRENZE 1371 – 1444

• Rimasto orfano a tre anni, ebbe un’infanzia difficile a causa dell’aridità dei parenti e della dura disciplina dell’apprendistato mercantile. Iscritto all’Arte della Lana, si occupò di tintura di panni e di cambi monetari; partecipò attivamente alla vita politica di Firenze di cui fornisce uno spaccato nel suo libro di memorie: RICORDI.

LEONARDO FRESCOBALDI

FIRENZE, tra XIV e XV sec.

• Di nobile famiglia, fece parte di una legazione presso papa Bonifacio IX in qualità di ambasciatore del Comune di Firenze. Nel 1348, su incarico del vescovo di Volterra, compilò una relazione: VIAGGIO IN TERRA SANTA, in cui si fornisce una ricca documentazione geografica, etnografica ed economica dei luoghi visitati.

LEONARDO GIUSTINIAN

VENEZIA 1388 – 1446

• Figlio di un patrizio veneziano, fu poeta, letterato ed umanista; svolse inoltre una brillante carriera politica che lo portò a capo del Consiglio dei Dieci, infine a rivestire la carica di Procuratore di San Marco. Nei componimenti poetici, alcuni dei quali musicò egli stesso, il lessico colto ed elegante si fonde con originalità a toni popolari.

GIORGIO GUCCI

FIRENZE, 1345 ca. – 1392

• Le scarse notizie su di lui attestano che nel 1348 fu incaricato con altri di compiere un viaggio in Terrasanta, allo scopo di fornire informazioni su quelle regioni e che assieme a Leonardo Frescobaldi fu coautore della relazione VIAGGIO IN TERRA SANTA.

GIANNOZZO MANETTI

FIRENZE 1396 – NAPOLI 1459

• Conoscitore delle lingue greca ed ebraica, tradusse in latino opere di Aristotele; rappresentò Firenze presso varie corti italiane ma, per contrasti con Cosimo de’Medici, fu in esilio a Roma ed a Napoli. Scrisse in latino un’opera apologetica della fede cattolica ed un trattato, DE DIGNITATE ET EXCELLENTIA HOMINIS, in cui ribalta molti aspetti della religiosità medievale, poiché invece di disprezzare, celebra la dimensione terrena e mondana della vita.

LAPO MAZZEI

PRATO 1350 – FIRENZE 1412

• Notaio e uomo d’affari, fu tra i creatori di una istituzione filantropica: Ceppo dei poveri, ancora fiorente a Prato. Le sue LETTERE, di cui oltre 400 indirizzate ad un suo cliente, il mercante Francesco di Marco Datini, disegnano un quadro esauriente di costume e di mentalità mercantile, prezioso per la conoscenza della vita italiana nel Trecento.

JACOPO PASSAVANTI

FIRENZE 1302 ca. – 1357

• Frate dell’Ordine domenicano, studiò a Parigi ed insegnò anche a Roma; fu vicario generale della diocesi fiorentina fra 1350 e 1352. In SPECCHIO DI VERA PENITENZA, un trattato sulla penitenza avvalorato da exempla volti ad incutere il terrore del peccato, avviò la pratica di sottoporre le prediche a rielaborazione letteraria.

FRANCESCO PETRARCA

AREZZO 1304 – ARQUA’ (PD) 1374

• Figlio di un notaio esule da Firenze perché guelfo di parte bianca, soggiornò con la famiglia in varie città italiane, quindi ad Avignone, allora sede papale. Frequentò l’università di Montpellier e quella di Bologna per studiare diritto, ma si dedicò allo studio dei classici e della lirica in volgare. La necessità di sistemarsi stabilmente dopo la morte del padre lo spinse a ricevere gli ordini minori, che garantivano una rendita fissa. Al servizio del cardinale Colonna compì lunghi viaggi e al suo ritorno in Provenza si trasferì a Valchiusa (Vaucluse) per dedicarsi in solitudine agli studi letterari da cui si riprometteva fama ed onori. La laurea poetica e storica offertagli dal Senato di Roma, gli permise di trasferirsi in Italia, dove conobbe Cola di Rienzo, il cui tentativo insurrezionale|egli appoggiò apertamente. Disputato dai Signori italiani, che lo volevano con sé per dare lustro culturale alla corte, compì missioni diplomatiche ad alto livello, ma rifiutò incarichi assai remunerativi, che lo avrebbero costretto a limitare il lavoro intellettuale. Come consigliere dei potenti, diffuse valori quali il rispetto dell’individuo, la tolleranza politica, il riconoscimento di papato ed impero come guide della società. Trascorse gli ultimi anni nella casetta di Arquà. Prototipo dell’intellettuale cortigiano di età umanistica, la sua predilezione per la classicità latina lo indusse a trascrivere ed a restaurare con rigore da filologo i classici scoperti in biblioteche italiane ed europee. La sua opera è quasi tutta in latino e spazia dal genere epico alle compilazioni storiche in poesia ed in prosa, ai trattati morali, ai libelli polemici contro l’averroismo medievale, avversato dalla Chiesa, alle lettere in cui trae spunto da vicende personali per riflettere su problemi generali. Le uniche opere in volgare sono: TRIONFI, un poema allegorico in terzine ispirato alla Commedia dantesca, ed il CANZONIERE o RERUM VULGARIUM FRAGMENTA che, apparentemente ispirato alla storia dell’amore non corrisposto per Laura, una giovane avignonese morta di peste nel 1348, costituisce una riflessione su grandi problemi morali ed esistenziali, condotta con scaltrita perizia retorica.

BUONACCORSO PITTI

FIRENZE 1354 – 1430 ca.

• Avventuriero e mercante, per ragioni d’affari viaggiò a lungo in Europa e svolse incarichi di rilievo per conto di nobili e sovrani. Tornato a Firenze, ricoprì importanti cariche pubbliche fino alla morte. Fu autore di un libro di|memorie: CRONICA, in cui si dà più peso agli aspetti autobiografici che alla descrizione della vita politica di Firenze.

ANTONIO PUCCI

FIRENZE 1310 ca. – 1388

• La sua professione ufficiale fu quella di fonditore di campane per il comune. Ebbe cultura da autodidatta. In CENTILOQUIO traspose in versi la CRONICA di Villani. In LE PROPRIETÀ DI MERCATO VECCHIO diede una vivace immagine della vita fiorentina di quel tempo. Compose cantari in ottava rima trattando temi cavallereschi che probabilmente recitava pubblicamente e poesie in biasimo e in difesa delle donne.

CINO RINUCCINI

FIRENZE 1350 ca. – 1417

• Di famiglia “nobile fra le popolari”, fu console dell’Arte dei Medici e degli Speziali e partecipò attivamente alla vita culturale di Firenze. In due invettive latine difese gli ideali comunali ed i tre grandi poeti fiorentini: Dante, Petrarca e Boccaccio, malvisti dagli umanisti più intransigenti. Le sue liriche in volgare, di stampo stilnovista, furono inserite da Lorenzo il Magnifico nella RACCOLTA ARAGONESE.

FRANCO SACCHETTI

RAGUSA (Croazia) 1332 – SAN MINIATO (PI) 1400

• Avviato dal padre alla professione di famiglia, l’arte del cambio, dopo aver molto viaggiato, partecipò attivamente alla vita pubblica di Firenze. Morì forse di peste a San Miniato, dove si trovava in qualità di vicario. Di cultura vasta, sebbene disorganica, scrisse in volgare componimenti poetici ed opere in prosa. Suo capolavoro è il TRECENTONOVELLE che fornisce un vivace ritratto della società popolana e borghese di Firenze e del contado.

COLUCCIO SALUTATI

STIGNANO (PT) 1331 – FIRENZE 1406

• Cancelliere della repubblica fiorentina, letterato, filosofo e giurista, introdusse lo studio del greco a Firenze. Nelle sue opere, tutte in latino, si fece promotore del nuovo ideale di uomo proposto dall’Umanesimo: attivo, razionale, consapevole delle proprie azioni e della necessità di partecipare alla soluzione dei problemi di tutti.

GIOVANNI SERCAMBI

LUCCA 1348 – 1424

• Figlio di uno speziale, cioè di un farmacista, fece carriera politica dopo essere entrato nelle grazie della famiglia Guinigi, che ottenne la signoria di Lucca. Fu autore di una storia di Lucca dal 1164 al 1423 e di una raccolta di novelle. Morì nel corso di una epidemia di peste.

SIMONE SIGOLI

FIRENZE 1349 – 1401

• Le scarse notizie su di lui attestano che compì un viaggio in Egitto, in Sinai ed in Terrasanta insieme a Leonardo Frescobaldi e ad altri fiorentini. Di esso rimane una traccia nella relazione VIAGGIO AL MONTE SINAI, in cui inserì notazioni di geografia e di storia naturale.

DONATO VELLUTI

FIRENZE 1313 – 1370

• Figlio di un ricco mercante guelfo di parte nera, ricoprì importanti cariche pubbliche ed esercitò la professione di giudice pur non avendo terminato gli studi di diritto. Scrisse un libro di memorie: CRONICA DOMESTICA in cui, oltre che parlare delle proprie vicende familiari, fornisce un affresco della vita pubblica di Firenze in quegli anni.

LEON BATTISTA ALBERTI

GENOVA 1404 – ROMA 1472

• Figlio forse naturale di Lorenzo di Benedetto, si laureò in diritto canonico, coltivò lo studio della matematica e della fisica, abbracciò la carriera ecclesiastica. Fu segretario apostolico della Curia pontificia e grande architetto. Grazie alla sua opera ed alle sue iniziative, la concezione dell’Umanesimo fu estesa anche alla lingua volgare.

SERAPHINO AQUILANO

L’AQUILA 1466 – ROMA 1500

• Serafino de’ Ciminelli, membro dell’Accademia di Paolo Cortese, abile recitatore ed improvvisatore, musicista geniale e stravagante, fu autore di strambotti, ecloghe, sonetti, barzellette frottole, opere teatrali; ebbe successo enorme e molti imitatori, soprattutto in Inghilterra.

PIETRO ARETINO

AREZZO 1492 – VENEZIA 1556

• Figlio di un calzolaio che aveva abbandonato la famiglia, rifiutò il cognome paterno sostituendolo con quello della città di provenienza. Dopo un periodo di apprendistato come pittore, si impose come libellista, commediografo ed autore di sonetti satirici, detti pasquinate. Amico di letterati e potenti, godette di un enorme successo internazionale soprattutto quando ebbe la protezione dell’imperatore Carlo V. Tra la sua vastissima produzione. spiccano i sei dialoghi di prostitute noti sotto il nome di RAGIONAMENTO o SEI GIORNATE, che, in quanto volti alla formazione della perfetta puttana, costituiscono un rovesciamento dissacrante dei trattati d’amore o dei manuali del perfetto uomo di corte.

LUDOVICO ARIOSTO

REGGIO EMILIA 1474 – FERRARA 1533

• Primogenito di un funzionario dei duchi di Este, venne costretto dal padre a compiere studi giuridici. Rimasto orfano, dovette occuparsi della numerosa famiglia in precarie condizioni economiche. Entrò pertanto nella schiera dei funzionari di corte stipendiati, ma ottenne anche incarichi politici e diplomatici di rilievo. Dopo una prima fase letteraria, caratterizzata dalla produzione di tragedie e di componimenti latini, si orientò verso la commedia, che offriva spunti per descrivere costumi e vizi umani. Negli anni maturi si dedicò con costanza alla composizione di RIME in volgare di stampo petrarchesco, delle SATIRE di ispirazione oraziana, e del poema epico ORLANDO FURIOSO, nato come continuazione dell’INNAMORATO di Boiardo, in cui azione epica e romanzesca si sovrappongono in una pluralità di toni narrativi che fanno dell’opera un modello di letteratura moderna.

MATTEO BANDELLO

CASTELNUOVO SCRIVIA (AL) 1485 – BAZENS (FRANCIA) 1561

• Novelliere e cortigiano. Entrò nell’Ordine Domenicano, ma fu attratto dalla vita di corte e si pose alle dipendenze di grandi casate per le quali svolse incarichi diplomatici; concluse brillantemente la propria carriera in Francia, dove fu nominato vescovo di Agen e si occupò della raccolta di un corpus di Novelle, che, a differenza di quelle di Boccaccio, non seguono un criterio strutturale o tematico.

PIETRO BEMBO

VENEZIA 1470 – ROMA 1547

• Di famiglia patrizia, percorse la carriera ecclesiastica fino al cardinalato; fu segretario della Curia pontificia, storiografo e bibliotecario della Repubblica Veneta per la quale curò una HISTORIA VENETA, che tradusse in volgare. E in volgare scrisse le RIME, di imitazione petrarchesca, il dialogo GLI ASOLANI, sull’amore platonico, il trattato PROSE DELLA VOLGARE LINGUA, dove sostiene la connessione tra lingua d’arte e letteratura e la priorità dei modelli linguistici offerti dal fiorentino degli autori del ‘300.

ANGELO BEOLCO

PADOVA 1496 ca. -1542

• Detto Ruzante, fu autore teatrale ed attore; figlio illegittimo di un autorevole medico, si occupò della amministrazione dei beni dell’amico e protettore Alvise Cornaro. Per la sua vasta produzione di commedie, quasi esclusivamente in prosa, egli scelse il dialetto padovano, che meglio si confaceva alla sua poetica del naturale.

FRANCESCO BERNI

LAMPORECCHIO (PT) 1497 – FIRENZE 1535

• Figlio di un notaio, fu poeta attento alla tradizione popolaresca ed agli interessi filologico-classicisti della cultura fiorentina; protonotaro apostolico del vescovo di Verona, morì avvelenato, forse dopo il rifiuto di assassinare il cardinale Salviati, nemico del duca de’ Medici. Scrisse una parodia dell’ORLANDO INNAMORATO di Boiardo, e giocosi capitoli in terza rima, in cui cantò le cose banali o volgari della vita di ogni giorno.

MATTEO MARIA BOIARDO

FIRENZE 1220 – 1294

Notaio della cancelleria fiorentina, di parte guelfa, venne inviato in missione da Alfonso X, re di Castiglia per chiederne l’appoggio contro i ghibellini sostenuti da re Manfredi. Raggiunto dalla notizia della sconfitta guelfa a Montaperti, riparò in Francia. La sua produzione consta fra l’altro di due poemi in distici di settenari: IL TESORETTO e IL FAVOLELLO, dove emerge un preciso intento didattico e divulgativo, volto alla formazione culturale della classe dirigente comunale.

MICHELANGELO BUONARROTI

CAPRESE (AR) 1475 – ROMA 1564

• Artista fra i più completi, fu pittore, scultore, architetto e poeta. La sua produzione lirica restò nei limiti di un esercizio privato, e consta prevalentemente di sonetti e madrigali. Pur muovendosi nell’ambito del petrarchismo, egli vi apporta una tensione stilistica nuova svolgendo temi che vanno dalla passione amorosa, alla meditazione sul proprio ruolo di artista e sui fondamenti dell’arte.

BURCHIELLO

FIRENZE 1404 – ROMA 1449

• Domenico di Giovanni, figlio di un legnaiolo poverissimo, lavorò come barbiere e si guadagnò il soprannome di Burchiello per i sonetti bizzarri, caratterizzati da parole ed immagini incalzanti senza nesso apparente, proprio come la burchia, un battello da carico su cui le merci vengono ammassate confusamente.

BALDASSARRE CASTIGLIONE

CASATICO (MN) 1478 – TOLEDO (SPAGNA) 1529

• Umanista e poeta di nobile famiglia, fu apprezzato come uomo politico e diplomatico; la sua attività letteraria è testimoniata da un nutrito epistolario, da rime in latino ed in volgare e soprattutto dal trattato in forma dialogica IL LIBRO DEL CORTEGIANO, in cui offre un quadro del cortigiano perfetto e si sofferma sul problema linguistico opponendo alla parlata plebea, diffusa in tutti i ceti in ambito regionale, la parlata cortigiana, diffusa in ambito nazionale.

BENVENUTO CELLINI

FIRENZE 1500 – 1571

• Orafo abilissimo, scultore, poeta e trattatista, fu violento fino all’omicidio e visse una giovinezza assai avventurosa e una vecchiaia di stenti e di solitudine. Compose rime, scritti d’arte, trattati di oreficeria e di scultura, e soprattutto VITA (pubblicata postuma nel 1728), che può essere definita la prima autobiografia dell’intellettuale moderno, estraniato dai prodotti che egli stesso ha creato, insoddisfatto del proprio ruolo, in urto con la committenza, interessata solo agli aspetti commerciali dell’investimento in opere d’arte. L’opera, dettata dall’autore ad un garzone di bottega, presenta i tratti di una scrittura manieristica, assai efficace anche per l’intromissione di elementi popolari.

FRANCESCO COLONNA

VENEZIA 1433/34 – 1527

• Stimato predicatore, entrò nell’Ordine Domenicano e conseguì il magistero a Padova; fu autore di un unico romanzo allegorico didascalico: HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI o PUGNA D’AMORE DI POLIFILO IN SOGNO. L’opera, scritta in volgare, ha un carattere enciclopedico ed uno stile eclettico e prezioso.

VITTORIA COLONNA

MARINO (RM) 1490 – 1547

• Poetessa di nobile famiglia, rimasta vedova, stabilì una fitta rete di rapporti politici ed intellettuali con i circoli vicini alla riforma della Chiesa, pur senza aderirvi. Fu legata a Michelangelo da profonda amicizia. Di lei restano un carteggio con eminenti personalità del tempo e una raccolta di poesie, RIME.

PAOLO CORTESE

ROMA 1465 – 1510

• Fu abbreviatore e segretario apostolico. Compose stanze, sonetti e strambotti in volgare. Intervenne nel merito dell’uso dei testi classici in una lettera a Poliziano, in cui si dichiarò favorevole ad un paziente lavoro di assimilazione della cultura latina, cioè del principio imitativo. Nel trattato DE CARDINALATU, anch’esso in latino, forni invece un modello del principe ecclesiastico rinascimentale.

NICCOLÒ II DA CORREGGIO

FERRARA(?) 1450 – ROMA 1508

• Figlio di una sorella naturale di Borso ed Ercole d’Este, cugino di Boiardo, fu poeta, guerriero e cortigiano, diplomatico e protagonista di tornei e di feste. In volgare scrisse un poemetto, il più antico dramma in volgare della letteratura italiana: FAVOLA DI CEFALO, infine le RIME, liriche d’occasione, autobiografiche o di stampo petrarchesco.

LEONARDO DA VINCI

VINCI (FI) 1452 – AMBOISE (Francia) 1519

• Nato dall’unione fra il notaio ser Piero ed una tale Caterina, coltivò da autodidatta le più svariate arti: pittura, matematica, ingegneria, anatomia, fisica, biologia, geologia, filosofia e letteratura acquisendo profonde conoscenze. Dopo una vita errabonda presso le corti italiane, si trasferì in Francia dove morì. Precorrendo i principi del pensiero galileiano, intese la scienza come unione di esperienza e di ragionamento matematico, fusi nella concreta pratica tecnica.

PICO DE LA MIRANDOLA

MIRANDOLA (MO) 1463 – FIRENZE 1494

• Di nobile casato, coltivò lo studio delle lingue e del pensiero greco, arabo ed ebraico; le sue CONCLUSIONES, 900 tesi riguardanti la cultura filosofica e teologica del tempo, gli costarono l’accusa di eresia ed il carcere. Entrato nell’Ordine Domenicano, morì a 30 anni, forse avvelenato. In TRATTATI ED ORAZIONI composti in latino, sono centrali i temi del rapporto fra l’uomo e Dio, della dignità dell’uomo e della sua condizione di privilegio rispetto al creato.

LORENZO DE’ MEDICI

FIRENZE 1449 – 1492

• Ventunenne assunse il governo della città e dello Stato fiorentino, come avevano fatto suo padre e suo nonno. Si guadagnò l’appellativo di “Magnifico” per la capacità di controllare le sorti dell’intera Italia attraverso una politica di difficili equilibri oltre che per la sua figura di mecenate e di cultore della poesia, delle lettere e delle arti. Autore versatile ed eclettico, sperimentò vari generi di poesia: realistico burlesca, elegiaca, sacra, benché resti dominante il modello formale petrarchesco.

BERNARDO DOVIZI

BIBBIENA (AR) 1470 – ROMA 1520

• Detto Bibbiena dal nome della città natale, abbracciò la carriera ecclesiastica e, nominato cardinale, svolse missioni diplomatiche. Fu autore di una commedia: LA CALANDRIA, ispirata ai modelli di Plauto e Boccaccio.

AGNOLO FIRENZUOLA

FIRENZE 1493 – PRATO 1543

• Soprannome di Michelangiolo Giovannini; fu poeta e scrittore di novelle e di commedie. Figlio di un notaio, compì studi giuridici quindi entrò nell’Ordine vallombrosano. Rivesti a più riprese la carica di abate, dopo un breve ritorno alla vita laica ed all’esercizio dell’avvocatura; amico di Della Casa e di Annibal Caro, fondò a Prato l’Accademia dell’Addiaccio. Nella raccolta RAGIONAMENTI adottò due registri narrativi: quello realistico per le novelle licenziose, quello elaborato per le dotte disquisizioni sull’amore che le precedono.

TEOFILO FOLENGO

MANTOVA 1491 – BASSANO DEL GRAPPA (VI) 1544

• Gerolamo Folengo fu noto anche sotto lo pseudonimo Merlin Cocai. Nato da nobili decaduti, entrò nell’Ordine benedettino, dove assunse il nome di Teofilo. Fu autore di scritti sacri e coltivò il genere epico comico, avvalendosi di un linguaggio in cui grammatica e sintassi latine si mescolano alla massa eterogenea di un lessico dialettale non privo di neologismi latineggianti. Tale genere, detto maccaronicum, era diffuso a Padova soprattutto in ambiente goliardico.

FRANCESCO GUICCIARDINI

FIRENZE 1483 – 1540

• Di ricca famiglia fiorentina, fu storico, avvocato e uomo politico. Nominato governatore di Modena quindi commissario generale dell’esercito pontificio, la sua carriera subì alterne vicende. Venne processato nella Firenze repubblicana per la sua attività al servizio dei papi medicei e subì l’esclusione dalle cariche pubbliche e la confisca dei beni; il ritorno dei Medici a Firenze segnò la ripresa dell’attività politica e diplomatica. La sua produzione consta di opere storiografiche, tra cui la famosa STORIA D’ITALIA in cui i fatti storici vengono analizzati con un metodo empirico, fondato sulla personale esperienza che rifugge dall’accettazione acritica di leggi; scrisse anche meditazioni e discorsi di argomento politico, oltre che massime su temi disparati, pubblicate con il titolo RICORDI da cui emerge una distaccata consapevolezza dei limiti della natura umana ed il ripudio di facili fiducie.

CRISTOFORO LANDINO

FIRENZE 1424 – PRATOVECCHIO (AR) 1498

• Divulgatore del pensiero di Platone e di Aristotele insegnò oratoria e poetica nello Studio fiorentino dove commentò le opere di Dante, Orazio e Virgilio. Nelle sue opere filosofiche, dei dialoghi scritti in latino, affermò la priorità della vita contemplativa su quella attiva, ridimensionando l’esaltazione della vita associata, che era stata al centro della trattatistica del primo umanesimo.

NICCOLÒ MACHIAVELLI

FIRENZE 1469 – 1527

• Uomo di estrosa vivacità, ricevette una educazione borghese e svolse intensa attività diplomatica per la Repubblica fiorentina. Restaurata la Signoria medicea, subì la tortura, la prigionia e la condanna ad un anno di confino. Forzatamente lontano dalla politica attiva, scrisse I DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECADE DI TITO LIVIO, una riflessione sul governo repubblicano romano, in cui vide una realizzazione esemplare di vita associata meritevole di studio, comprensione, imitazione, e IL PRINCIPE, vero trattato di scienza politica in cui, analizzando i vari tipi di principato, cercò di definire quale ne fosse la forma ideale. Da tali riflessioni trasse la convinzione che l’agire politico non può essere oggetto di valutazione morale, poiché la fondazione ed il mantenimento di uno stato necessitano di comportamenti improntati ad un lucido realismo che tenga conto della realtà effettuale, della negatività della natura umana, e dello scopo dell’agire politico, che è quello di fa durare lo stato nel tempo. Nominato storico ufficiale dei De Medici con il compito di scrivere una storia di Firenze, morì pochi mesi dopo la restaurazione della repubblica.

GIROLAMO MUZIO

PADOVA 1496 – FIRENZE 1576

• Detto Giustinopolitano, compose rime di stampo petrarchesco per Tullia d’Aragona; ma anche trattati di materia cavalleresca e di polemica religiosa. Convinto che il carattere nazionale della lingua consistesse nella sua tradizione scritta e culturale, scrisse VARCHINA, una violenta requisitoria contro chi, come Varchi, sosteneva il primato del fiorentino vivo; si interessò anche di problemi estetici, e scrisse una POETICA, cercando di risolvere in modo pratico il problema della rappresentazione artistica sulla scia del generale interesse suscitato dalla riscoperta e dalla diffusione della Poetica di Aristotele nel ‘500.

MATTEO PALMIERI

FIRENZE 1406 – 1475

• Storico ed umanista, esercitò la professione di speziale e ricoprì la carica di capitano della Repubblica fiorentina a Volterra; oltre ad opere storiografiche in latino, scrisse il trattato DELLA VITA CIVILE in volgare in cui si fornisce un quadro dei comportamenti ideali del cittadino capace di operare per il pubblico bene.

AGNOLO POLIZIANO

MONTEPULCIANO 1454 – FIRENZE 1494

• Angelo Ambrogini fu detto il Poliziano dal nome latino del paese d’origine. Si distinse giovanissimo per ld capacità di poetare in greco, in latino e in volgare. Umanista, filologo, critico e traduttore dal greco in latino. Lorenzo de’ Medici lo accolse nella sua casa come segretario privato e come precettore dei figli garantendoli sicurezza economica.

GIOVANNI PONTANO

CERRETO DI SPOLETO (PG) 1429 – NAPOLI 1503

• Poeta, studioso di astrologia, di problemi morali e filosofici, svolse carriera politica e diplomatica presso la corte aragonese. Fu a capo del cenacolo letterario detto Porticus Antoniana, che da lui prese il nome di Accademia Pontaniana. La produzione didascalico scientifica e filosofica, ma anche la vastissima produzione poetica è scritta in un latino cui egli cercò di conferire la vivacità di una lingua viva.

LUIGI PULCI

FIRENZE 1432 – PADOVA 1484

• Poeta e cortigiano, appartenente ad una famiglia di cavalieri decaduti, non compì studi regolari, ma ampliò la propria cultura frequentando umanisti e letterati. Svolse missioni diplomatiche su incarico dei Medici. Tra le sue numerose opere in volgare spicca il poema epico MORGANTE, parodia delle canzoni di gesta, ben note al pubblico di corte cui era destinato.

GIOVANNI BATTISTA RAMUSIO

TREVISO 1485 – PADOVA 1557

• Umanista e geografo italiano, svolse attività politica per conto della Repubblica di Venezia in molte nazioni europee e raccolse relazioni di viaggio antiche|e moderne, per lo più inedite.

GIOVANNI RUCELLAI

FIRENZE 1475 – ROMA 1525

• Figlio del nobile Bernardo, famoso umanista fiorentino, praticò il genere didascalico, ma anche quello tragico. ROSMUNDA e ORESTE, in endecasillabi sciolti, sono tra i primi esempi di teatro classico rinascimentale.

MASUCCIO SALERNITANO

SALERNO o SORRENTO (NA) 1410 – SALERNO 1475

• Tommaso Guardati, figlio di un cortigiano, fu cortigiano anch’egli e letterato. La sua unica opera fu una raccolta di 50 novelle in volgare: IL NOVELLINO, che rispetto ai modelli precedenti mostra una maggiore autonomia tematica, mescolando situazioni tragiche e grottesche.

JACOPO SANNAZARO

NAPOLI 1457 – 1530

• Umanista, filologo e poeta. Di famiglia nobile, ma decaduta, si formo sotto l’influsso di Pontano. Fu legato da un rapporto di stima ed amicizia al re Federico d’Aragona, tanto che, quando quello cadde in disgrazia, vendette tutti i beni, gliene offrì il ricavato e lo seguì in esilio. Oltre a farse carnevalesche, sonetti e canzoni, scrisse in volgare un romanzo pastorale, misto di prosa e di poesia: L’ARCADIA, imitato e tradotto in numerosissime lingue europee.

GIROLAMO SAVONAROLA

FERRARA 1452 – FIRENZE 1498

• Poeta, trattatista e predicatore dal fascino carismatico, studiò medicina e filosofia. Entrò nell’Ordine Domenicano e ricoprì la carica di priore di S. Marco a Firenze. Nei suoi scritti in latino ed in volgare si scagliò contro i costumi del tempo, ma anche contro la vita religiosa e politica, proponendo una nuova forma di governo che imitava i poteri della Signoria ed uno stile di vita improntato all’ascetismo. Arrestato per le sue idee, fu impiccato ed arso sul rogo.

SPERONE SPERONI

PADOVA 1500 – 1588

• Discepolo del filosofo aristotelico Pomponazzi e filosofo egli stesso, soggiornò a lungo a Roma, disputato da papi e principi che ne ammirarono il vasto sapere. Oltre ad una vasta produzione trattatistica e critica, fu autore di una tragedia, CANACE, vicina al modello senechiano per i toni macabri con cui viene descritta una vicenda incestuosa in cui si adombrano i temi della violenza del potere e della ragion di Stato.

GIAN GIORGIO TRISSINO

VICENZA 1478 – ROMA 1550

• Di famiglia patrizia, svolse missioni diplomatiche per conto della Curia pontificia. Fautore di un classicismo integrale, rispondente cioè ai canoni che Aristotele espose nella Poetica. Compose liriche ed una tragedia: SOFONISBA, dall’autore stesso destinata, contrariamente ad altre opere cinquecentesche dello stesso genere, non alla semplice lettura, bensì alla rappresentazione.

LORENZO VALLA

ROMA 1405 ca. – 1457

• Detto anche Della Valle, figlio di un giurista della Curia pontificia, fu umanista e filologo. Maestro di eloquenza a Pavia, lavorò come segretario del re Alfonso d’Aragona, quindi insegnò retorica e fu scrittore apostolico di papa Niccolò V. La sua vasta produzione, tutta in latino, affronta temi salienti dell’Umanesimo: il libero arbitrio ed i suoi limiti, l’introduzione di un approccio filologico ai testi classici contro una passiva accettazione della tradizione.

GASPARE AMBROGIO VISCONTI

CASSANO MAGNANO (VA) 1461 – MILANO 1499

• Poeta di nobili origini, svolse attività politica e diplomatica come consigliere del duca di Milano Ludovico il Moro; scrisse una commedia in ottave, un poema in ottava rima e tre raccolte poetiche: RITHIMI E CANZONIERI, di prevalente stampo petrarchesco, sebbene spesso le tematiche cortesi si alternino a quelle popolari dai toni comici e realistici.

GIROLAMO ALEANDRI

MOTTA DI LIVENZA (TV) 1574 – ROMA 1629

Detto Il Giovane, scrisse un trattato: DIFESA DELL’ADONE, per mezzo del quale entrò nel vivo della polemica suscitata dalla pubblicazione dell’opera di Marino, che veniva accusata di violare i principi aristotelici, di mancare di unità, di stile e di purezza linguistica.

GIAMBATTISTA BASILE

GIUGLIANO IN CAMPANIA (NA) 1566 – 1632

Poeta e narratore, fu soldato mercenario per conto della Serenissima; ricoprì anche l’incarico di governatore per conto dei Gonzaga di Mantova e di vari signori feudali.

FRANCESCO BELO

ROMA sec. XVI

Poeta e commediografo, fu il primo ad introdurre nel teatro comico il gergo pedantesco.

GIOVAN FRANCESCO BIONDI

ISOLA DI LESINA (Croazia) 1572 – AUBONNE (Svizzera) 1644

Diplomatico oltre che storico e romanziere, svolse incarichi in Francia ed in Inghilterra per la Repubblica di San Marco.

TRAIANO BOCCALINI

LORETO (AN) 1556 – VENEZIA 1613

Polemista satirico e trattatista, dopo gli studi di diritto divenne funzionario pontificio e ricoprì l’incarico di governatore in varie città sottoposte allo Stato della Chiesa. Sebbene in modo asistematico, partecipò al dibattito politico con RAGGUAGLI DI PARNASO, 300 corrispondenze giornalistiche di un immaginario inviato speciale, e COMMENTARII SOPRA CORNELIO TACITO, riflessione sull’opera dello storico latino, da cui emergono le contraddizioni del suo tempo, incapace di risposte politiche univoche e coerenti.

GIOVANNI BOTERO

BENE VAGIENNA (CN) 1544 – TORINO 1617

Di famiglia modesta, studiò dai Gesuiti di Palermo, quindi entrò a far parte dell’Ordine. Compiuti gli studi teologici entrò in forte contrasto con i superiori e fu estromesso dalla Compagnia di Gesù. Fu accolto allora dalla famiglia Borromeo, per la quale svolse mansioni di precettore e segretario, infine dai Savoia. La sua vasta produzione, anche poetica, comprende due trattati: DELLE CAUSE DELLA GRANDEZZA E MAGNIFICENZA DELLE CITTÀ e DELLA RAGION DI STATO. Nel primo dà rilievo all’analisi dei fattori economici ed agli effetti positivi che l’economia produce sulla vita associata; nel secondo, in accordo con le posizioni controriformistiche, rivendica una ragion di Stato fondata sull’insegnamento della Chiesa, ovvero il carattere morale e religioso dell’attività politica.

TOMMASO CAMPANELLA

STILO (RC) 1568 – PARIGI (Francia) 1639

Figlio di uno “scarparo” analfabeta, entrò giovanissimo nell’Ordine Domenicano. Studiò le più disparate discipline: astrologia, medicina, scienze naturali, fisica, retorica, politica. Deciso a mantenere integra la propria indipendenza di pensiero, entrò in conflitto con l’autorità ecclesiastica e fu processato più volte dal tribunale dell’Inquisizione. In Calabria partecipò ad una congiura contro le autorità spagnole e la Chiesa; fu torturato e processato e, simulando la follia, ottenne la commutazione della pena di morte nella carcerazione a vita. Nonostante la detenzione riuscì a comporre opere italiane e latine di vastità prodigiosa. Liberato per intervento di papa Urbano VIII, fu accolto dal re di Francia, del quale fu consigliere fino alla morte.

FRANCESCO CARLETTI

FIRENZE 1573 – 1636

Scrittore e commerciante, viaggiò a lungo in America ed in Asia.

ANNIBAL CARO

CIVITANOVA MARCHE (MC) 1507 – FRASCATI (RM) 1566

• Letterato e uomo di corte; godette della protezione dei Farnese e, benché la sua famiglia fosse di condizione povera, ebbe modo di studiare a Roma ed a Firenze. Fu autore di una commedia GLI STRACCIONI, di liriche in volgare e di una notissima traduzione italiana dell’Eneide di Virgilio.

GABRIELLO CHIABRERA

SAVONA 1552 – 1638

Di antica famiglia savonese, sperimentò tutti i generi letterari in voga: epica, tragedia, drammi musicali e trattati morali. Trasferitosi a Roma, dove uno zio gli fece impartire una educazione classica, trascorse una giovinezza irrequieta poiché il coinvolgimento in risse e omicidi lo costrinse spesso all’esilio. La composizione del libretto di una favola, musicata da Caccini, gli meritò la stima dei Medici, oltre che un lauto vitalizio, e gli permise di dedicarsi solo alla poesia, che presenta novità sul piano metrico e contenutistico, per il tentativo di applicare ai versi in italiano le forme quantitative della lirica classica e per l’inserimento di tematiche psicologiche e morali.

GIULIO CESARE CROCE

SAN GIOVANNI IN PERSICETO (BO) 1550 – 1609

Poeta e narratore, nacque da una famiglia di fabbri e compì studi irregolari; esercitò anch’egli il mestiere di fabbro, alternandolo a quello di cantastorie; visse una vita semplice e povera, nonostante il successo popolare.

GIOVANNI DELLA CASA

BORGO SAN LORENZO (FI) 1503 – MONTEPULCIANO (SI) 1556

Laureatosi in legge ebbe formazione umanistica e intraprese una brillante carriera ecclesiastica culminata nella nomina a Segretario di Stato. Se la sua opera di poeta segna il punto di arrivo nella ricerca stilistica della lirica del 500, il suo trattato in volgare: IL GALATEO, suggerisce con bonaria arguzia e in stile popolareggiante le norme comportamentali cui dovrebbe attenersi il gentiluomo nella vita privata.

FEDERICO DELLA VALLE

ASTI 1560 ca. – MILANO 1628

Cortigiano senza titoli e senza favori, fu amministratore delle scuderie della duchessa Caterina d’Austria, figlia del re di Spagna. Quasi ignorato dai contemporanei, fu poeta dilettante e tragediografo di indiscussa originalità.

CIRO DI PERS

MAJANO (UD) 1599 – SAN DANIELE DEL FRIULI (UD) 1683

Storico, tragediografo e poeta di nobili origini, fu cavaliere dell’Ordine gerosolimitano e prese parte ad una spedizione contro i Turchi. Scrisse una raccolta di POESIE, di gusto marinista, dove le metafore e gli artifici retorici sono permeati di una religiosità tipica della Controriforma.

LUDOVICO DOLCE

VENEZIA 1508 ca. – 1568

Di nobile famiglia decaduta, lavorò come traduttore e come curatore di testi classici per la stamperia Giolito. Autore di liriche di stampo petrarchesco, di poemi epici, commedie e tragedie, scrisse un trattato teoretico riguardante la pittura, la scultura, l’architettura, intitolato: L’ARETINO, o DIALOGO DELLA PITTURA (1557) ed un trattato di linguistica: OSSERVAZIONI SULLA VOLGAR LINGUA (1534), in cui sviluppò con originalità le tesi di Pietro Bembo.

SEBASTIANO ERIZZO

VENEZIA 1525 – 1585

Traduttore di opere filosofiche dal greco, scrittore e uomo politico, fu membro del Consiglio dei Dieci. La sua produzione narrativa consta di una raccolta di novelle: LE SEI GIORNATE (1567), in cui si nota la negazione del modello strutturale decameroniano, attuata mediante una dilatazione della cornice, che assolvela funzione narrativa dominante.

GALILEO GALILEI

PISA 1564 – ARCETRI (FI) 1642

• Scienziato e trattatista, di famiglia nobile, ma decaduta, compì i primi studi entrando come novizio nel monastero di Vallombrosa, presso Firenze. Non portò a termine l’università, dove studiò matematica ed anatomia. Divenne famoso per l’invenzione della bilancia idrostatica e per conclusioni fondamentali riguardanti il baricentro dei solidi. Ottenuta la cattedra di matematica all’Università di Pisa, con il cannocchiale da lui costruito scoprì le asperità della Luna, la natura degli ammassi stellari e quattro satelliti di Giove. Le sue scoperte ponendo in discussione la cosmologia aristotelica, risolvevano il rapporto fra scienza e Sacre Scritture in un modo che alla Chiesa parve eretico. Il secondo dei due processi intentati contro di lui dal tribunale della Inquisizione si concluse con una condanna alla pubblica abiura ed al domicilio coatto.

GIOVAN BATTISTA GIRALDI CINZIO

FERRARA 1504 – 1573

Autore e teorico del “teatro orroroso”, ispirato ai modelli di Seneca, la sua opera influì sul teatro elisabettiano.

ANTONIO FRANCESCO GRAZZINI

FIRENZE 1505 – 1584

Detto Il Lasca, fu speziale, cioè farmacista e scrittore autodidatta. Si annovera tra i fondatori della Accademia degli Umidi, trasformata in Accademia Fiorentina, ma anche tra i membri dell’Accademia della Crusca. Oltre che poeta comico ed autore di commedie, egli fu autorevole scrittore di novelle.

LUDOVICO LEPOREO

BRUGNERA (PN) 1582 – ROMA 1655

Esponente della scuola marinista, inventò un bizzarro artificio metrico: il leporeambo, che sperimentò in LEPOREAMBI ALFABETICI e in LEPOREAMBI NOMINALI (1639 e 1641). Servendosi dei tradizionali quattordici versi del sonetto, egli li deformava con effetti caricaturali servendosi dell’introduzione di rime al mezzo, allitterazioni, bisticci.

GIOVAN BATTISTA MANZINI

BOLOGNA 1599 – 1664

Polemista e narratore, scrisse un romanzo di intrighi politici e di ispirazione morale, IL CRETIDEO (1637), della cui introduzione si servì per decantare la superiorità del genere romanzesco rispetto alla storia ed all’epica.

GIOVANNI AMBROGIO MARINI

GENOVA 1594 ca. – VENEZIA 1650 ca.

Scrittore e moralista, abbracciò la vita religiosa.

GIOVAN BATTISTA MARINO

NAPOLI 1569 – 1625

Avviato dal padre giureconsulto agli studi legali, presto li abbandonò. Cacciato di casa, si dedicò alla poesia. Visse alterne vicende: protezioni autorevoli, successo e riconoscimenti per la sua attività poetica, incriminazioni e condanne per essersi reso colpevole di episodi infamanti. La sua più grande aspirazione, quella di vivere all’ombra di un potente sovrano, si realizzò quando fu invitato alla corte di Francia, dove fu quasi venerato. Tra la sua vasta produzione spicca il poema ADONE, ispirato al mito di Venere che si innamora di Adone, suscitando le ire di Marte. La grande novità dell’opera consiste in un ribaltamento del genere epico, poiché sul piano formale la trama narrativa viene distrutta, lasciando che gli episodi si susseguano senza filo logico, e sul piano contenutistico si priva il protagonista di ogni carattere eroico.

BERNARDO MORANDO

GENOVA 1589 – PIACENZA 1656

Romanziere e poeta, fu anche autore di libretti per opere musicali e di sceneggiature per feste e balletti; le sue raccolte poetiche: FANTASIE POETICHE e POESIE SACRE E MORALI rispondono ad un gusto marinista.

PACE PASINI

VICENZA 1583 – PADOVA 1644

Poeta e narratore, scrisse un romanzo erotico-cavalleresco: ISTORIA DEL CAVALIER PERDUTO (1644), che potrebbe aver fornito qualche spunto a Manzoni, e che è caratterizzato dal moltiplicarsi delle strutture digressive e dal frazionamento della narrazione, in conformità con i moduli propri del romanzo barocco italiano.

FRANCESCO PONA

VERONA 1595 – 1655

Autore di trattati scientifici, traduttore dal latino, fu membro dell’Accademia degli Incogniti assumendo il nome di Eureta Misoscolo, e sperimentò vari generi letterari: commedie, tragedie e romanzi. Tra questi ultimi si ammovera LA LUCERNA DI EURETA MISOSCOLO, storia bizzarra di un’anima trasmigrata in una lucerna, che seguendo un modulo tipico del romanzo barocco, narra all’autore storie prive di connessioni e in tal modo vanifica l’intreccio del romanzo.

GIROLAMO PRETI

BOLOGNA 1582 – BARCELLONA (Spagna) 1626

OTTAVIO RINUCCINI

FIRENZE 1563 – 1621

Poeta e frequentatore della Camerata musicale fiorentina, diede l’avvio alla composizione dei libretti d’opera, fornendo i primi modelli del melodramma.

PAOLO SARPI

VENEZIA 1552 – 1623

Storico, studioso di questioni politiche, di anatomia, di matematica, Pietro Sarpi assunse il nome di Paolo quando entrò nell’Ordine dei Servi di Maria, di cui fu procuratore. Fornì consulenza legale alla Repubblica di Venezia allorché essa, per aver cercato di regolamentare la vendita o la donazione di proprietà immobiliari agli ecclesiastici, e per aver favorito l’arresto di due religiosi accusati di reati comuni, entrò in conflitto di competenze con la Curia pontificia (questione dell’interdetto). Da tale attività nacquero i Consulti, cioè pareri legali, in cui analizzò i rapporti tra potere laico e potere ecclesiastico difendendo i diritti dello Stato laico.

FILIPPO SASSETTI

FIRENZE 1540 – GOA (India) 1588

Membro dell’Accademia Fiorentina, fu letterato oltre che mercante. Sovrintese a grosse aziende commerciali fiorentine e portoghesi, per le quali compì lunghi viaggi, giungendo fino in India. Frutto di tali esperienze sono le LETTERE DALL’INDIA, in cui sviluppa interessanti analisi comparative tra le lingue europee ed il sanscrito.

GASPARA STAMPA

PADOVA 1523 – VENEZIA 1554

LUIGI TANSILLO

VENOSA (PZ) 1510 – TEANO (CE) 1568

Poeta assai precoce, si trovò coinvolto per anni in imprese di guerra; fu guardia personale del viceré Pietro di Toledo e terminò la carriera militare come capitano di giustizia a Gaeta. Il suo ingegno versatile lo spinse a sperimentare vari generi lirici, dall’ecloga drammatica al poemetto erotico, didascalico, spirituale. Tale vasta esperienza confluì nelle RIME, influenzate dalla lezione di Sannazaro e della poesia umanistica latina.

TORQUATO TASSO

SORRENTO (NA) 1544 – ROMA 1595

Poeta, trattatista, scrittore teatrale e cortigiano, nacque dal poeta Bermardo Tasso, costretto all’esilio dal suo protettore, duca di S. Severino. Abbandonata la madre in tenera età per seguire il padre, il suo equilibrio psichico ne risentì, la sua creatività fu ostacolata dal subentrare di preoccupazioni estetiche, morali e religiose fino alla reclusione per pazzia. Ottenuta la liberazione, svolse intensa attività letteraria, peregrinando da una città all’altra nella vana ricerca di una sistemazione agiata e tranquilla. La sua produzione, che comprende il poema GERUSALEMME LIBERATA, il dramma pastorale AMINTA, le RIME, fa di lui il raffinato innovatore della tradizione lirica dopo Petrarca, colui che diede voce all’inquieta sensibilità rinascimentale sperimentando uno stile concettoso, e introducendo l’introspezione psicologica e l’autobiografismo poetico nei diversi settori della poesia.

ALESSANDRO TASSONI

MODENA 1565 – 1635

Critico letterario, polemista e poeta, fu di nobile famiglia e lavorò presso varie corti; ricoprì l’incarico di segretario del duca di Savoia, del cardinale Ludovisi, del duca d’Este.

EMANUELE TESAURO

TORINO 1592 – 1675

Storico, tragediografo e trattatista. Di famiglia aristocratica, fu gesuita, insegnò retorica presso l’Accademia di Brera, ma lasciò l’Ordine in seguito a gravi dissensi. Fu al servizio dei Savoia come predicatore di corte e precettore. Scrisse uno dei più importanti trattati sul concettismo: IL CANNOCCHIALE ARISTOTELICO, in cui analizza il significato di metafora in Aristotele ed enumera le argutezze, ovvero gli artifici capaci di destare meraviglia, che sono i cardini della poetica barocca.

FULVIO TESTI

FERRARA 1593 – MODENA 1646

Probabilmente il principale poeta classicista della prima metà del secolo. Fu al servizio del duca d’Este e a Modena, ricoprendo anche alti incarichi. La sua produzione letteraria affronta temi civili ed ha toni solenni.

POMPONIO TORELLI

MONTECHIARUGOLO (PR) 1539 – PARMA 1608

Letterato e tragediografo.

GIORGIO VASARI

AREZZO 1511 – FIRENZE 1574

Pittore eclettico ed architetto illustre, scrisse il primo trattato critico sull’arte italiana, servendosi di una enorme quantità di materiali: fonti storiche e documentarie, notizie, appunti presi nel corso dei suoi numerosi viaggi.

NICOLA VILLANI

PISTOIA 1590 – ROMA 1636

Poeta e critico letterario, nei suoi saggi partecipò alla polemica fra marinisti ed antimarinisti e fu tra i pochi contemporanei che rivalutarono la poesia dantesca contro le bizzarrie del barocco.

DANIELLO BARTOLI

FERRARA 1608 – ROMA 1685

Storiografo, linguista, scienziato entrò giovanissimo nell’Ordine dei Gesuiti di cui divenne lo storiografo ufficiale. Avverso al purismo dell’Accademia della Crusca, scrisse trattati di retorica, trattati scientifici e religioso-morali.

ANTON GIULIO BRIGNOLE SALE

GENOVA 1605 – 1665

Figlio del doge genovese Giovanni Francesco, fu poeta, scrittore e uomo politico; abbracciò il sacerdozio, quindi entrò nell’Ordine dei Gesuiti; la sua produzione comprende opere di argomento religioso e filosofico, commedie, romanzi e novelle.

BARTOLOMEO CORSINI

BARBERINO DI MUGELLO (FI) 1606 – 1673

Traduttore di testi filosofici e poetici dal greco, compose un poema eroicomico: IL TORRACCHIONE DESOLATO (1768, postumo) in cui si attua la degradazione parodica del modello del poema serio, sulla scia del modello proposto da Tassoni con LA SECCHIA RAPITA.

BARTOLOMEO DOTTI

ERBUSCO (BS) 1651 – VENEZIA 1713

Spadaccino famoso, scrittore satirico e poeta, condusse una vita avventurosa e morì assassinato. Scrisse RIME E SONETTI, che rispecchiano i principali caratteri della lirica barocca: uso della metafora, volontà di capriccio e bizzaria.

CARLO INNOCENZO FRUGONI

GENOVA 1692 – PARMA 1768

Figlio di patrizi decaduti, abbracciò la carriera ecclesiastica. Insegnò retorica a Brescia e vi fondò una colonia arcadica. Ottenuto il permesso di rinunziare ai voti, venne accolto dai Borbone di Spagna, che avevano acquisito i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla e che lo nominarono poeta di corte, ispettore degli spettacoli e segretario dell’Accademia di Belle Arti. Tra le sue opere poetiche, edite postume nel 1779, sono rilevanti gli epitalami, ispirati al sensismo, e le canzonette erotico mitologiche, che svolgono il tema dell’evasione nell’isola di Amore, faro alla poesia settecentesca.

PIETRO GIANNONE

ISCHITELLA (FG) 1676 – TORINO 1748

Perseguitato per le sue idee anticlericali, fu costretto a rifugiarsi a Vienna. Quando i Borbone salirono sul trono di Napoli, dovette allontanarsi anche dalla corte imperiale e venne imprigionato dai Piemontesi. Morì in carcere dopo aver composto un’autobiografia. In ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI (1723), si servì di un’ottica giuridico-politica per indagare i rapporti fra Stato e Chiesa ed i rispettivi ambiti di competenza rivendicando l’autonomia del potere statale.

GIACINTO GIMMA

BARI 1668 – 1735

Abbracciata la carriera religiosa, fu erudito e poligrafo. In IDEA DELLA STORIA DELL’ITALIA LETTERARIA (1723), accumulò in maniera disorganica informazioni su letteratura, scienza ed arti.

GIAN VINCENZO GRAVINA

ROGGIANO (CS) 1664 – ROMA 1718

Avviato da un cugino agli studi classici, insegnò prima Diritto Civile, poi Diritto Canonico all’Università della Sapienza di Roma. Lontano dalle posizioni tradizionaliste degli accademici della Crusca, ma anche da quelle moderniste barocche, entrò nell’Accademia dell’Arcadia, allontanandosene per fondare quella dei Quirini. Intuì la grandezza del poeta Metastasio, e lo aiutò a proseguire gli studi. In DISCORSO SULL’ENDIMIONE DEL GUIDI (1692) e in LA RAGION POETICA (1708), rifletté sulla finalità della poesia, sottolineandone la funzione morale e civile nella vita di una nazione.

LORENZO LIPPI

FIRENZE 1606 – 1665

Pittore e poeta, fu amico di Salvator Rosa, assieme al quale fondò l’Accademia dei Percossi.

GIACOMO LUBRANO

NAPOLI 1619 – 1693

Sacerdote gesuita, famoso per le sontuose prediche di insuperato virtuosismo verbale e metaforico, come testimoniano molti poeti, cronisti e critici suoi contemporanei. Considerato uno dei più importanti poeti marinisti. Per la stampa delle sue poesie si servì anche dello pseudonimo Paolo Brinacio.

SCIPIONE MAFFEI

VERONA 1675 – 1755

• Di nobile famiglia, fu tra li fondatori del Giornale dei letterati d’Italia. La sua opera di storico mirò a svecchiare le strutture sociali e culturali italiane e culminò nella pubblicazione di ITALIA DIPLOMATICA (1727), una raccolta cronologica di codici medievali, trascritti con metodo filologico. Pubblicò anche commedie, un melodramma e una tragedia: MEROPE (1713), che per la serrata rapidità dell’azione e per l’abolizione di prologhi e di cori, ebbe enorme successo in Europa.

CARLO MARIA MAGGI

MILANO 1630 – 1699

Poeta e drammaturgo, formulò un programma di riforma teatrale, in cui la commedia assumeva una funzione educativa e il dialetto si sganciava da finalità parodistiche, diventando strumento per la rappresentazione di costumi reali moderni.

LORENZO MALAGOTTI

ROMA 1637 – FIRENZE 1712

Di nobile famiglia, fu scienziato, uomo politico e letterato. Viaggiò in molti paesi europei come diplomatico al servizio del granduca di Toscana. Fu segretario dell’Accademia del Cimento.

GIOVAN PAOLO MARANA

GENOVA 1642 – PARIGI (Francia) 1693

Attivamente partecipe della lotta politica antispagnola, venne incarcerato ma fuggì in Francia dove re Luigi XIV gli concesse una pension royale. Il suo romanzo epistolare: L’ESPLORATORE TURCO, in cui l’autore simula di essere il semplice traduttore di un testo arabo, ebbe enorme successo di pubblico e venne tradotto in francese ed in inglese, diventando il modello di un nuovo genere letterario assai diffuso: quello del romanzo epistolare pseudorientale.

FAUSTINA MARATTI

ROMA 1679 – 1745

Poetessa, figlia del pittore Carlo Maratta, entrò nell’Accademia dell’Arcadia e sposò uno dei fondatori, l’avvocato e poeta Giambattista Felice Zappi. Tenne a Roma un frequentatissimo salotto letterario. Nelle RIME, cantò con stile misurato le vicende dell’amore coniugale.

FEDERIGO MENINNI

GRAVINA DI PUGLIA (BA) 1636 – NAPOLI 1712

Di famiglia aristocratica fu filosofo, scrittore, poeta ed accademico. Le sue POESIE si collocano tra gli esempi del declinante gusto marinista della fine del XVIII secolo. Lasciò anche un volume di discorsi intitolato IL RITRATTO DEL SONETTO E DELLA CANZONE, descrizione minuziosa del “mestier poetico”, cioè delle tecniche del poeta barocchista e di vari poeti toscani.

PIETRO METASTASIO

ROMA 1698 – VIENNA (Austria) 1782

Pseudonimo di Pietro Trapassi, fu poeta e drammaturgo. Figlio di un modesto commerciante, diede segni precoci di eccezionale talento. Conobbe Vincenzo Gravina, che lo aiutò a proseguire gli studi, lasciandolo erede della sua biblioteca e di un discreto patrimonio. La sua carriera conobbe una rapida ascesa. Impiegatosi a Napoli presso lo studio di un avvocato, entrò in contatto con i grandi maestri della scuola operistica napoletana e con la famosa cantante Marianna Bulgarelli. Per lei compose il melodramma DIDONE ABBANDONATA (1724), che sancì la sua fama di poeta per musica e che fu seguito da una lunga serie di componimenti del genere. Nominato poeta cesareo a Vienna in sostituzione di Apostolo Zeno, restò in quella corte fino alla morte.

LUDOVICO ANTONIO MURATORI

VIGNOLA (MO) 1672 – MODENA 1750

Di modeste origini, fu sacerdote, si laureò in filosofia, diritto canonico e civile; dottore della Biblioteca ambrosiana di Milano, bibliotecario ed archivista del duca d’Este, oltre alla produzione critica, tesa al rinnovamento ed alla razionalizzazione dell’attività letteraria, egli produsse trattati di filosofia morale, opere storiografiche e di erudizione; adunò infatti, da solo, le fonti della storia d’Italia a partire dal Medioevo, pubblicandole in raccolta. In RIFLESSIONI SUL BUON GUSTO (1703) e DELLA PERFETTA POESIA ITALIANA (1706) cercò un compromesso tra le due finalità della poesia: l’utilità morale e civile da una parte, e dall’altra l’edonismo, cioè il diletto, cui ascrisse un ruolo preponderante.

FRANCESCO REDI

AREZZO 1626 – PISA 1697

Scienziato, linguista, poeta e musicista, si laureò in medicina e filosofia e fu medico di corte della famiglia Medici. Applicando i criteri sperimentali della scienza galileiana, operò interessanti scoperte biologiche, descritte nei suoi trattati sulle vipere o sulla generazione degli insetti. Le sue profonde conoscenze delle lingue e dei dialetti gli fecero guadagnare l’ingresso nell’Accademia della Crusca e nell’Accademia del Cimento.

PAOLO ROLLI

ROMA 1687 – TODI (PG) 1765

Discepolo di Vincenzo Gravina, intraprese la pratica legale presso lo studio di Giambattista Felice Zappi. Il gentiluomo inglese Thomas Pembroke notò il suo eccezionale talento e lo invitò alla corte di re Giorgio II in qualità di precettore degli eredi al trono. La sua ampia produzione comprende melodrammi, musicati da G.F. Haendel e componimenti poetici, pubblicati postumi nel 1782, tra cui spiccano odi ed endecasillabi, improntati al gusto arcadico-rococò, ma arricchiti dalla fusione tra facile cantabilità italiana e rilievo pittorico figurativo di gusto inglese.

GIAMBATTISTA VICO

NAPOLI 1668 – 1744

Figlio di un libraio, compì studi irregolari, ma in casa del marchese Rocca, dei cui figli fu precettore, poté studiare i classici. Nominato professore di eloquenza all’Università di Napoli, non mancò di contestare la filosofia cartesiana e la tradizione scientista di stampo galileiano, in cui il reale veniva ricondotto all’evidenza geometrica e matematica. Tali posizioni vennero rielaborate ed approfondite in LA SCIENZA NUOVA dove egli affermò che il significato di uno sviluppo storico non deve essere letto in termini meccanicisti di progresso, bensì come contributo alla formazione della civiltà. E dopo aver suddiviso tale sviluppo nelle tre epoche storiche del senso, della fantasia e della ragione, sottolineò che la civiltà nasce quando prevale il pensiero razionale e filosofico, ma si mantiene nel tempo in virtù dell’istinto e del sentimento che indussero gli antichi popoli ad esprimersi mediante le arti e la poesia necessarie, queste ultime, a mantenere viva la civiltà.

APOSTOLO ZENO

VENEZIA 1668 – 1750

Erudito, librettista alla moda di melodrammi, le sue opere vennero musicate da compositori famosi come Scarlatti, Haendel, Vivaldi. Fu chiamato a dirigere per dieci anni il teatro di corte viennese e partecipò alla fondazione del Giornale de’ letterati d’Italia.

VITTORIO ALFIERI

ASTI 1749 – FIRENZE 1803

Di nobile famiglia, rimasto orfano di padre, entrò nella Reale Accademia di Torino ma, insofferente della vita militare, la abbandonò e diede sfogo alla propria inquietudine viaggiando a lungo in Italia ed in Europa. Ancora sprovvisto di un centro di interessi e di mete precise, si diede ad intensissime letture e ad un tenacissimo lavoro letterario, fuggendo ogni distrazione mondana. Non sopportando vincoli di sudditanza al monarca piemontese, cedette tutti i beni alla sorella, in cambio di una rendita vitalizia. Scrisse trattati di argomento morale e politico, liriche, dedicate quasi tutte alla contessa di Albany, sua fedele compagna, e tragedie. Dotato di una capacità teatrale altissima, nelle tragedie egli portò in scena l’opposizione tirannide-libertà, servendosi delle vicende di personaggi: ANTIGONE, BRUTO, SAUL, già consacrati a questo ruolo dalla tradizione. Lontano da posizioni illuministiche, intese la tirannide come quell’insieme di forze che vietano all’uomo di essere libero, cioè di estrinsecare appieno il proprio Io. Tale idea di fondo venne messa in scena ricorrendo a due soli personaggi che, assetati di assoluto, si affrontano frontalmente, mentre scenografie, caratterizzazioni storiche ed episodi collaterali vengono ridotti al minimo, senza nulla concedere al gusto del tempo.

GIUSEPPE BARETTI

TORINO 1719 – LONDRA (Regno Unito) 1789

Avviato alla carriera ecclesiastica ed agli studi di architettura e di diritto, svestì l’abito sacerdotale, dedicandosi alla poesia ed al lavoro di traduzione. Fu accolto nelle Accademie dei Granelleschi e dei Trasformati, ma difficoltà economiche lo spinsero a trasferirsi a Londra, dove pubblicò saggi in lingua inglese ed un dizionario italiano-inglese. Tornò in Italia al servizio di un nobile anglosassone, e a Venezia pubblicò un famoso periodico quindicinale: La frusta letteraria. La rivista subì attacchi violenti ed il divieto di pubblicazione, che lo indussero ad un definitivo trasferimento a Londra.

DOMENICO LUIGI BATACCHI

PISA 1748 – ORBETELLO (GR) 1802

Modesto impiegato del dazio, fu autore di novelle, poemi satirici e favole mitologiche. Accusato di giacobinismo, fu costretto a trasferirsi dalla propria città. Nel poema LA RETE DI VULCANO, pubblicato postumo nel 1812, si servì della narrazione mitologica per fornire vivaci quadri di vita settecentesca.

CESARE BECCARIA

MILANO 1738 – 1794

Di nobile famiglia, compì studi di diritto; a Milano frequentò l’Accademia dei Trasformati, di cui Carlo Imbonati era autorevole rappresentante. Contrario alla mondanità di quell’ambiente, fondò l’Accademia dei Pugni, dove prevalsero interessi culturali. Sollecitato dai fratelli Verri, compose DEI DELITTI E DELLE PENE, una sorta di trattato in cui si proponeva una globale riforma del sistema penale, che sottraesse all’arbitrio dei giudici le sorti dell’imputato. Unicamente preso dal lavoro, ebbe una carriera prestigiosa e fu membro della Giunta per la riforma del sistema giudiziario.

GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

ROMA 1791 – 1863

GIOVANNI BERCHET

MILANO 1783 – TORINO 1851

Di origine ginevrina, fu poeta, saggista, traduttore dall’inglese, dal tedesco e dallo spagnolo. Dopo studi tecnico linguistici, lavorò per la Cancelleria del Senato del Regno Italico, dedicandosi alla letteratura. Al rientro degli Austriaci a Milano, fu interprete del Capo della Polizia. Legatosi agli intellettuali del Conciliatore, la rivista romantica cui diede importanti contributi, aderì alla Carboneria, la persecuzione degli Austriaci lo costrinse a lunghe peregrinazioni.

SAVERIO BETTINELLI

MANTOVA 1718 – 1808

Critico letterario, storiografo, drammaturgo e poeta, studiò presso i Gesuiti, quindi entrò nell’Ordine e si dedicò all’insegnamento. Viaggiò a lungo in Italia ed in Europa e, durante un soggiorno parigino, conobbe Voltaire e Rousseau. Dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù, si stabilì nel paese natale, attendendo all’edizione delle sue opere. Nei saggi LETTERE VIRGILIANE (1757 – 1758), LETTERE INGLESI (1767) e DELL’ENTUSIASMO NELLE BELLE ARTI (1760) rivendicò il ruolo prioritario di sentimento, sensibilità e immaginazione nella creazione poetica.

GIOVANNI GIACOMO CASANOVA

VENEZIA 1725 – DUCHOV (Repubblica Ceca) 1798

Figlio di attori, fu avviato alla carriera ecclesiastica e prese gli ordini minori, che gli garantivano qualche beneficio economico. Viaggiò per le corti di tutta Europa ricevuto talora e riverito da sovrani, artisti, filosofi e scienziati, costretto talaltra a vivere di espedienti. Fu giocatore e baro; a Venezia subì una condanna per libertinaggio ed ateismo, ma evase avventurosamente dal famoso carcere dei Piombi.

GIOVANNI BATTISTA CASTI

ACQUAPENDENTE (VT) 1724 – PARIGI (Francia) 1803

Abate e poeta, scrisse in ottave le NOVELLE GALANTI (1778-1802) di argomento satirico e licenzioso, ma anche libretti di opere buffe, alcune delle quali musicate da Salieri e da Paisiello. Viaggiò a lungo in Italia ed in Europa e fu nominato poeta cesareo alla corte viennese di Francesco I.

ANTONIO CESARI

VERONA 1760 – RAVENNA 1828

Poeta e linguista, fu sacerdote della congregazione di San Filippo Neri. Intraprese iniziative editoriali per far conoscere testi ed autori trecenteschi. Nel saggio DISSERTAZIONE SOPRA LO STATO PRESENTE DELLA LINGUA ITALIANA (1810) e nella edizione ampliata, ma non ufficiale, del vocabolario della Crusca, teorizzò il purismo linguistico che, contro l’eccessiva francesizzazione del lessico settecentesco, proponeva una lingua incorrotta ed illibata da ricercare nella Toscana del Trecento.

GABRIELE D’ANNUNZIO

PESCARA 1863 – GARDONE RIVIERA (BS) 1938

Instancabile produttore di letteratura, cercò di realizzare quella fusione tra arte e vita che fu il sogno di tanti artisti decadenti. La sua produzione poetica, narrativa e teatrale permette di individuare una linea panica che nei lavori giovanili CANTO NOVO, TERRA VERGINE (1882-83), è partecipazione dell’individuo al ritmo vitale dell’universo. Nelle liriche di ALCYONE (1903) e nella tragedia LA FIGLIA DI JORIO (1904), scomparsa ogni dimensione metafisica, il panismo è identità della natura con la vita. In NOTTURNO (1916-21) il panismo si rivela invece nell’intuizione che anche la morte rientra nel ciclo vitale dell’universo.

LORENZO DA PONTE

CENEDA (oggi VITTORIO VENETO – TV) 1749 – NEW YORK (USA) 1838

Pseudonimo di Emanuele Conegliano; avventuriero e scrittore, viaggiò per tutta l’Europa, quindi, in seguito all’interessamento del musicista Antonio Salieri, venne nominato poeta di corte a Vienna. Scrisse libretti operistici per Mozart, poi emigrò negli Stati Uniti, dove fu professore di lingua e letteratura italiana. Le sue MEMORIE (1807) nacquero dall’intento pedagogico di utilizzarle come manuale scolastico, ma lo spirito patriottico e la vastissima esperienza umana che le animano, fecero sì che il libro avesse un grosso successo editoriale soprattutto in epoca tardo romantica.

AURELIO DE’ GIORGI BERTOLA

RIMINI 1753 – 1798

Monaco e viaggiatore irrequieto, fu grande estimatore del poeta svizzero Gessner del quale tradusse e divulgò l’opera. Divenuto poeta, poté rinunciare ai voti; insegnò Storia Universale presso l’Università di Pavia e si impegnò attivamente durante la Repubblica cisalpina. Benché radicato nella cultura settecentesca, fu sensibile al fascino del pittoresco e del patetico, di gusto preromantico. E se le NUOVE POESIE CAMPESTRI E MARITTIME (1779) si collocano nella linea arcadico moderata di Pindemonte, le NOTTI CLEMENTINE (1774), scritte in morte di papa Clemente XIV, sono vicine alla poesia notturna e sepolcrale di Young.

LUDOVICO ARBORIO DI BREME

TORINO 1780 – 1820

Abate di nobile famiglia, fu consigliere di stato del Regno d’Italia sotto il regime napoleonico. Durante la Restaurazione visse a Milano, appena tollerato dal governo austriaco e si dedicò all’attività di polemista, collaborando al periodico Conciliatore, portavoce del primo romanticismo lombardo. Nell’opuscolo INTORNO ALL’INGIUSTIZIA DI ALCUNI GIUDIZI LETTERARI ITALIANI (1816), sottolineò la necessità di risollevare la cultura italiana mediante l’adeguamento ai tempi, che implicava l’abbandono della retorica e dell’erudizione, diffuse nella letteratura contemporanea.

GIOVANNI FANTONI

FIVIZZANO (MS) 1755 – 1807

Di idee giacobine partecipò con Ugo Foscolo all’assedio di Genova del 1800 e scrisse odi patriottiche in versi improntati alla metrica oraziana.

UGO FOSCOLO

ZANTE (Grecia) 1778 – LONDRA (Regno Unito) 1827

Di madre greca e di padre veneziano. Bellezza e capacità intellettuali ne favorirono l’accesso ai salotti intellettuali di Venezia, dove cominciò l’apprendistato poetico e si aprì alle nuove idee giacobine d’oltralpe tanto che, entrato in sospetto al governo veneziano, fu costretto alla fuga. La fuga costituì una costante della sua esistenza, almeno tanto quanto il tentativo di restare fedele ai propri ideali politici. La lirica foscoliana sintetizza in modo personalissimo atteggiamenti e sensibilità proprie dell’orientamento neoclassico e romantico. Tipicamente romantica è la concezione dell’intellettuale – patriota destinato al fallimento nello scontro con la violenza che domina la storia, neoclassica è la contemplazione di un mondo mitico, fondato sui valori eterni di giustizia, bellezza e poesia e identificato con la grecità. E se nel carme DEI SEPOLCRI l’intellettuale – patriota, superato l’atteggiamento contemplativo, sembra riscattarsi dal fallimento mediante l’opera poetica, che gli garantisce una sorta di immortalità, in LE GRAZIE viene privilegiato il valore catartico, rasserenante della poesia, che permette al poeta di superare le delusioni del mondo presente e reale.

ANTONIO GENOVESI

CASTIGLIONE (SA) 1713 – NAPOLI 1769

Di famiglia modesta, fu sacerdote e professore di metafisica ed etica, infine ebbe la docenza della prima cattedra europea di Economia Politica all’Università di Napoli; osteggiato negli ambienti ecclesiastici per le sue idee illuministiche, formò li intellettuali riformatori napoletani. Nel saggio IL VERO FINE DELLE LETTERE E DELLE SCIENZE ( 1754), esaltò le discipline pratiche come le più adatte ad operare il rinnovamento morale e civile dello Stato e fornì direttive di politica culturale da applicare al Regno di Napoli.

PIETRO GIORDANI

PIACENZA 1774 – PARMA 1848

Laureatosi in Legge, abbandonò l’Ordine benedettino e visse da impiegato. Fu illuminista e liberale, appoggiò il regime napoleonico, e nel periodo della restaurazione subì persecuzioni politiche, che lo costrinsero a vita errabonda. Redattore del periodico classicista La Biblioteca italiana, collaborò ad Antologia, rivista fondata da Vieusseux. Favorevole al purismo linguistico contro l’uso dilagante del lessico straniero, del neoclassicismo condivise il concetto di immutabilità dell’arte nel tempo e fu il primo a considerare là letteratura greca modello di varietà, eleganza, precisione e armonia dello stile.

CARLO GOLDONI

VENEZIA 1707 – PARIGI 1793

Figlio di medico, si laureò in giurisprudenza ed esercitò per qualche tempo l’avvocatura, benché il teatro costituisse la sua passione dominante. Alternando l’una e l’altra attività, si avviò con discreto successo alla carriera di commediografo, riuscendo ad imporre al pubblico le sue idee di riforma teatrale. La notorietà raggiunta a Venezia, unita all’atteggiamento volubile degli spettatori, determinò il suo trasferimento alla Comédie italienne di Parigi, dove ebbe il compitò di elaborare scenari e canovacci, che lo riportavano a modalità già ampiamente superate. Nominato maestro di lingua italiana della figlia del re di Francia, visse in povertà i suoi ultimi anni, che coincisero con lo scoppi della rivoluzione. Da I DUE GEMELLI VENEZIANI (1748), la prima commedia dell’arte provvista di testo interamente scritto dall’autore, al BOURRU BIENFAISANT, cioè IL BURBERO BENEFICO (1771), composta in francese e poi trascritta in italiano, il progetto di riforma goldoniana operò in più direzioni: modificò il ruolo dell’autore, facendone l’unico responsabile del testo; modificò l’oggetto della rappresentazione, mettendo in scena la realtà contemporanea ed i nuovi valori borghesi; superò l’artificiosità della lingua letteraria tradizionale, servendosi del bipolarismo italiano-dialetto, che meglio evidenziava i livelli sociali di appartenenza dei parlanti.

CARLO GOZZI

VENEZIA 1720 – 1806

Fu poeta, drammaturgo, memorialista; di nobile famiglia, caduto in ristrettezze economiche, rifiutò per orgoglio di prestare la sua opera letteraria dietro compenso. Con il fratello Gasparo fu tra i fondatori dell’Accademia dei Granelleschi, una delle istituzioni più conservatrici del Settecento. Fortemente avverso alle idee illuministiche, si fece propositore del teatro fiabesco, entrando in polemica con Goldoni, che accusò di aver messo in scena temi troppo realistici e plebei. Fra le sue opere più celebri, alcune delle quali, seguendo la tradizione della Commedia dell’Arte, sono redatte in forma di canovaccio, si annoverano TURANDOT (1762), L’AMORE DELLE TRE MELARANCE (1761), L’AUGELLIN BELVERDE (1765).

GASPARO GOZZI

VENEZIA 1713 – PADOVA 1786

Di nobile famiglia, entrò in contatto con l’ambiente arcadico veneziano, avviandosi a studi letterari. Continue difficoltà finanziarie lo costrinsero a guadagnarsi da vivere componendo su ordinazione versioni e rifacimenti di opere straniere. Con il fratello Carlo fondò l’Accademia dei Granelleschi, di orientamento classicistico. Grazie ad una nobildonna veneziana, gli furono affidate la preparazione di un piano di riforma degli studi e la sovrintendenza delle scuole di Padova. La prosa dei suoi articoli, pubblicati su Gazzetta veneta e Osservatorio veneto, risponde ad un intento letterario che si fonde elegantemente con le finalità cronachistiche.

TOMMASO GROSSI

BELLANO (CO) 1790 – MILANO 1853

Svestito l’abito ecclesiastico, si laureò in Legge e si trasferì a Milano per dedicarsi alla letteratura, ma attirò l’attenzione della polizia per una satira dialettale antiaustriaca. Amico di Porta e Manzoni, dopo il matrimonio si dedicò alla professione di notaio. Il suo romanzo: MARCO VISCONTI (1834), tende a ridurre a maniera la tipologia inaugurata dall’inglese Walter Scott, che sviluppava attorno ad un nucleo storico vicende avventurose o idilliache.

GIACOMO LEOPARDI

RECANATI (MC) 1798 – NAPOLI 1837

Di nobile famiglia economicamente dissestata, crebbe in un ambiente reazionario. Dai dieci anni in poi proseguì gli studi da autodidatta, fino a formarsi una cultura da filologo e da erudito settecentesco; tradusse opere classiche, apprese l’ebraico, compose versi, tragedie e saggi eruditi. Muovendo dalla prodigiosa cultura acquisita, maturò il passaggio dall’erudizione al bello, cioè apprezzò diversamente valori della poesia e guardò con nuovo interesse ai capolavori della tradizione in volgare. L’isolamento doloroso ed il logorio fisico dovuto allo studio troppo intenso vennero alleviati solo dalla conoscenza epistolare con Pietro Giordani, che lo aprì al classicismo illuminista, laico e sensista. Progetti impossibili di fuga e la lunga malattia agli occhi furono causa di una crisi interiore in cui si precisò la convinzione che ai moderni fosse possibile solo una poesia sentimentale e filosofica. Nacquero così le realizzazioni poetiche degli anni 1818-1821: gli idilli, le canzoni civili e quelle di meditazione esistenziale di stampo classicistico. Da un breve soggiorno a Roma trasse l’impressione di un mondo meschino e culturalmente arretrato e decise di abbandonare la forma poetica per la prosa filosofica delle OPERETTE MORALI (1824). L’assegno mensile garantito dall’editore Stella, con cui collaborava, gli permise di compiere qualche breve viaggio e di frequentare autorevoli classicisti e romantici, mentre l’aiuto economico degli amici di Toscana gli consenti di abbandonare la casa paterna, conscio della propria grandezza, interessato ai problemi del suo tempo e disposto a combattere per le proprie idee. Furono gli anni del ciclo di ASPASIA (1830), di alcuni dialoghi delle OPERETTE MORALI, degli ultimi grandi canti, tra cui LA GINESTRA (1837) in cui il radicale pessimismo si coniuga con un nuovo slancio utopico, nell’appello cioè a tutti gli uomini a ripudiare i miti consolatori e a riunirsi per combattere il cieco dispotismo della Natura.

ALESSANDRO MANZONI

MILANO 1785 – 1873

Nato da una relazione extra coniugale di Giulia Beccaria con Giovanni Verri, venne riconosciuto dal conte Pietro Manzoni, il legittimo marito. Trascorse infanzia e giovinezza in collegio e nella casa paterna, avvicinandosi alle posizioni illuministiche e giacobine tramite l’amicizia con gli esuli politici Cuoco e Lomonaco. Trasferitosi a Parigi dalla madre, frequentò gli ideologi repubblicani e approfondì la grande tradizione moralistica francese, interessandosi alle problematiche religiose fino alla pubblica adesione al cattolicesimo, avvenuta sposando con rito cattolico la ginevrina Enrichetta Blondel, di fede calvinista. Rientrato a Milano, fece della propria casa il punto d’incontro dei due principali gruppi romantici locali: quello che si riuniva nella “cameretta” di Porta, e quello che faceva capo alla rivista Il Conciliatore. Ebbero così inizio gli anni della produzione più intensa e innovativa sul piano letterario, che coincisero con l’adesione al romanticismo. Fra 1812 e 1827 videro la luce le ODI, gli INNI SACRI, le tragedie: IL CONTE DI CARMAGNOLA e ADELCHI, il romanzo I PROMESSI SPOSI, nonché saggi di poetica, di storia e di linguistica. La morte della moglie e di quattro figlie aggravò i già ricorrenti stati di depressione e di angoscia, cosicché, dopo la pubblicazione del romanzo, fu assorbito esclusivamente dalla sua revisione e dalla stesura di trattati linguistici, storico politici e filosofico morali, con cui partecipò al dibattito teso a superare i vecchi schemi classicisti a favore di una letteratura impegnata sul piano etico e sociale. Fulcro della sua riflessione furono infatti la ricerca della verità e il problema della moralità dell’arte intesa come fenomenologia della Provvidenza divina, che trovò espressione in I PROMESSI SPOSI (1827 e 1840), opera con cui egli rinnovò la tradizione narrativa italiana, fornendo un originale modello di romanzo borghese.

VINCENZO MONTI

ALFONSINE (RA) 1754 – MILANO 1828

Abbandonati gli studi di Legge e di Medicina, si dedicò alla letteratura. Protetto dal cardinale Borghese, che gli aprì possibilità di carriera a Roma, si accostò alle posizioni giacobine e si trasferì a Milano, dominata dai Francesi, raggiungendo posizioni di rilievo; con l’avvento della Restaurazione cercò di ingraziarsi i nuovi dominatori con opere encomiastiche e collaborò alla Biblioteca italiana, periodico milanese filoaustriaco, fornendo contributi alla questione linguistica ed alla polemica fra neoclassici e romantici. La sua poesia, di enorme successo fra i contemporanei, esaltò la letterarietà del testo mediante musicalità dei versi, padronanza dei registri e operazioni di montaggio, restando ancorata ai miti d’Arcadia.

AGOSTINO PARADISI

VIGNOLA (MO) 1736 – REGGIO EMILIA 1783

GIUSEPPE PARINI

BOSISIO (LC) 1729 – MILANO 1799

Figlio di un modesto commerciante di seta, vestì l’abito sacerdotale per usufruire di una piccola rendita. Letterato e poeta, produsse scritti di estetica, odi di ispirazione sociale e illuministica, odi neoclassiche ed il noto poema satirico-didascalico: IL GIORNO, in cui la descrizione della giornata tipo di un giovane aristocratico diventa lo spunto per operare una severa critica morale della nobiltà e della sua perdita di ruolo all’interno della società settecentesca. Dedicatosi all’insegnamento dapprima come precettore presso famiglie nobili, poi come professore di eloquenza al ginnasio di Brera, ebbe l’incarico di sovrintendere alle scuole pubbliche. Diresse la Gazzetta di Milano, fu membro dell’Accademia dei Trasformati, entrò per breve tempo nella politica attiva quando a Milano giunsero i Francesi, tuttavia le sue posizioni moderate determinarono la rapida rimozione dall’incarico.

GIAN CARLO PASSERONI

NIZZA (Francia) 1713 – MILANO 1803

Letterato e traduttore dal greco, fece parte dell’Accademia dei Trasformati; amico di Parini, scrisse rime ed un poema con intenti satirico-morali: CICERONE (1775-84) che, incentrato sulla vita dell’insigne politico romano, presenta ampie digressioni sui costumi settecenteschi.

SILVIO PELLICO

SALUZZO (CN) 1789 – TORINO 1854

Di modeste origini, fece pratica di commercio a Lione, presso un ricco parente. Trasferitosi a Milano, entrò in contatto con gli intellettuali romantici. In seguito al grosso successo della sua tragedia FRANCESCA DA RIMINI (1815), fu assunto come precettore dalla famiglia del conte Porro Lambertenghi e lavorò alla rivista quindicinale Il Conciliatore, di orientamento liberale e romantico, che quello finanziava. Introdotto nella Carboheria da Pietro Maroncelli, subì l’arresto e la condanna al carcere duro. Fu graziato dopo nove anni e trascorse il resto della vita a Torino, lavorando come bibliotecario dei marchesi di Barolo e dedicandosi alla stesura di drammi storici, di un libro di memorie: LE MIE PRIGIONI (1832), e di tragedie, tra cui ESTER D’ENGADDI (1830), GISMONDA DA MENDRISIO (1834), improntate ad una scontata letterarietà.

IPPOLITO PINDEMONTE

VERONA 1753 – 1828

Di nobile famiglia, dopo aver ricevuto una rigida educazione classicistica, viaggiò a lungo in Italia ed in Europa. A Roma venne accolto fra i membri dell’Arcadia, a Parigi conobbe Alfieri ed altri intellettuali. Tornato in patria, si dedicò completamente agli studi, ricevendo visite illustri e frequentando il salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi. I suoi VERSI (1784), firmati con il nome arcadico di Polidete Melpomenio, presentano affinità con la poesia notturna e sepolcrale di Young, Gray e Gessner, mentre le POESIE CAMPESTRI (1788) fondono il gusto arcadico alla sensibilità preromantica.

LUIGI PIRANDELLO

AGRIGENTO 1867 – ROMA 1936

Laureatosi in Filosofia a Bonn, si dedicò alla letteratura, ma fu costretto ad impiegarsi dopo il crollo di una miniera in cui erano stati investiti la dote della moglie e grossi capitali. Raggiunto il successo con il romanzo IL FU MATTIA PASCAL (1904), il suo impegno si volse anche alla produzione teatrale ed alla regia. Nel 1926 fu nominato direttore artistico del Teatro d’Arte di Roma, fondato da Vergani e Bontempelli, poi creò egli stesso una compagnia con la famosa attrice Marta Abba. Divenuto Accademico d’Italia dopo l’avventata adesione al fascismo, nel 1934 ottenne il premio Nobel per la Letteratura. Convinto che l’arte non possa dare una visione univoca del reale, cercò modalità narrative lontane dal verismo-naturalismo e volte a demistificare le convenzioni della vita associata. Nella narrativa, tale ricerca condusse allo scompaginamento dell’ordine cronologico-casuale della narrazione e all’uso del discorso indiretto libero. E poiché il suo relativismo gnoseologico comportava lo scontro di tesi opposte, approdò al dramma teatrale e innovò anche quello, ricorrendo alla soluzione del teatro nel teatro, di cui SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE (1921) fornisce esempio saliente.

CARLO PORTA

MILANO 775 – 1821

ZACCARIA SERIMAN

VENEZIA 1708 – 1784

Commediografo e poeta, fu autore di un romanzo: VIAGGI DI ENRICO WANTON ALLE TERRE AUSTRALI ED AI REGNI DELLE SCIMMIE E DEI CINOCEFALI (1748) in cui, sulle orme di Swift, svolge una satira della società contemporanea da posizioni illuministiche.

GIROLAMO TIRABOSCHI

BERGAMO 1731 – MODENA 1794

Monaco gesuita, storico ed erudito, insegnò presso il collegio di Brera a Milano, succedendo ad Antonio Muratori nella direzione della Biblioteca estense di Modena. In STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA (1772-1782), superò le farraginose compilazioni precedenti e, servendosi di un’ordinata esposizione di dati e fatti, cercò di dimostrare come i valori filosofici della ragione e del gusto si fossero pian piano affermati anche in letteratura.

ALESSANDRO VERRI

MILANO 1741 – ROMA 1816

Scrittore, giornalista, scenografo ed attore per diletto, appartenne ad una nobile famiglia; desideroso di rendersi indipendente, soggiornò a lungo all’estero quindi si stabilì definitivamente a Roma. Entrato giovanissimo nell’Accademia detta Società dei Pugni, cooperò alla nascita della rivista Il caffè di cui fu vivace collaboratore. Scrisse romanzi storici, improntati al gusto antiquario e ad un classico rigore formale. Tra questi, LE NOTTI ROMANE AL SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI (1792) ebbe enorme successo per la capacità dell’autore di creare un’opera di impianto neoclassico, ma già vicina al gusto preromantico per le atmosfere lugubri e notturne.

PIETRO VERRI

MILANO 1728 – 1797

Giurista di nobile e ricca famiglia, frequentò l’Accademia dei Trasformati, ma per incidere attivamente sul presente, fondò con altri l’Accademia dei Pugni, nel cui ambiente nacque la rivista Il Caffè. Elaborò un progetto di riforma fiscale per il governo austriaco, e quando a Milano nel 1791 venne ricostituita la Municipalità, venne chiamato a parteciparvi. Studioso di problemi istituzionali ed economici, in MEDITAZIONI SULL’ECONOMIA POLITICA (1771), appoggiò le dottrine fisiocratiche, in base alle quali lo Stato non deve intervenire nella vita economica del Paese, poiché la natura, che governa il mondo fisico, governa anche i meccanismi del mondo economico. Nel saggio OSSERVAZIONI SULLA TORTURA affrontò invece il problema della riforma giudiziaria.

CLETTO ARRIGHI

MILANO 1828 – MILANO 1906

GRAZIADIO ISAIA ASCOLI

GORIZIA 1829 – MILANO 1907

Linguista autodidatta, fornì contributi salienti con una serie di studi giovanili sui dialetti italiani e sulle lingue orientali, che gli aprì le porte della Società orientale di Halle e di Lipsia. Fondò la rivista Archivio glottologico italiano in cui, in polemica con Manzoni, dimostrò che era arbitrario assumere il parlato fiorentino come lingua della nazione, e sostenne l’uso di un italiano conforme alla tradizione culturale e linguistica del paese, che andava esteso a tutti gli strati sociali.

ARRIGO BOITO

PADOVA 1842 – MILANO 1918

Antimanzoniano, esponente della Scapigliatura milanese, diresse il Conservatorio di Parma. Teorico di una sorta di fusione tra le varie arti, alternò l’attività di musicista a quella di scrittore e di traduttore e terminò la sua carriera come senatore.

MASSIMO BONTEMPELLI

COMO 1878 – ROMA 1960

Desideroso di sprovincializzare la cultura nostrana, fondò con Corrado Alvaro la rivista Novecento, cui collaborarono James Joyce, Virginia Woolf, David H. Lawrence, e promosse un’arte fantastica, che vivesse del senso magico, scoperto nella vita quotidiana di uomini e cose.

GIUSEPPE ANTONIO BORGESE

POLIZZI GENEROSA (PA) 1882 – FIESOLE (FI) 1952

Attivo collaboratore delle riviste del primo ‘900, insegnò Letteratura tedesca ed Estetica all’Università di Milano. Espulso per antifascismo, emigrò negli Stati Uniti. Mediante un’intensa attività critica superò le posizioni dannunziane, elaborando una poetica ispirata in parte all’idealismo di Croce e de Sanctis. Pubblicò racconti e romanzi, fra cui spicca RUBÈ (1921), ritratto morale di un intellettuale senza ideali, prototipo degli antieroi del decadentismo europeo.

LUIGI CAPUANA

MINEO (CT) 1839 – CATANIA 1915

Interrotti gli studi giuridici, dopo un apprendistato come scrittore, traduttore, critico letterario e teatrale, insegnò all’università di Catania. In STUDI SULLA LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA, una raccalta di saggi del 1885, ma anche nella vasta produzione di novelle e romanzi, fra cui GIACINTA (1879) e IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA (1901), appoggiò la teoria del naturalismo francese, e cioè che il mondo umano è retto da leggi analoghe a quelle del mondo animale: ereditarietà e adattamento all’ambiente. Mutò invece l’oggetto della rappresentazione: dal proletariato urbano dei romanzi naturalisti, ai processi di cambiamento della società agricola nel Mezzogiorno italiano ottocentesco.

GIULIO CARCANO

MILANO 1812 – LESA (NO) 1884

Di nobile famiglia, laureatosi in Legge, si dedicò presto alla letteratura. Amico di Grossi e Manzoni partecipò ai moti del 1848 e dopo l’Unificazione italiana fu senatore. Scrisse novelle e romanzi, fra cui il famoso ANGIOLA MARIA.

GIOSUÈ CARDUCCI

VALDICASTELLO (LU) 1835 – BOLOGNA 1907

Laureatosi in Lettere si dedicò all’insegnamento ed alla letteratura, circondandosi di intellettuali antiromantici con cui fondò il Circolo degli amici pedanti. Sospettato per le sue idee politiche, fu rimosso dall’insegnamento, ma nel 1860 la sua vita ebbe una svolta poiché il ministro Mamiani gli conferì la cattedra di eloquenza all’università di Bologna. Con l’attività di erudito e di critico letterario, consolidò la sua fama di guida della coscienza culturale italiana, nonostante i repentini cambiamenti di orientamento politico, che lo videro acceso repubblicano, sostenitore della monarchia, fautore della politica di Crispi. Nominato senatore, ricevette il Premio Nobel per la letteratura. La sua lirica, incentrata sull’antinomia fra sentimento vitale e sentimento di morte, inteso come privazione della vitalità, esalta la funzione etica della poesia ma anche l’assoluto dominio delle tecniche e dello stile da parte del poeta.

CARLO CATTANEO

MILANO 1801 – LUGANO (Svizzera) 1869

EMILIO CECCHI

FIRENZE 1884 – ROMA 1966

EDMONDO DE AMICIS

ONEGLIA (IM) 1846 – BORDIGHERA (IM) 1908

Militare di carriera, lasciò l’Esercito per dedicarsi all’attività di scrittore e saggista. Aderì al socialismo, che intese nell’accezione filantropica propria della borghesia umbertina. La sua produzione narrativa, da CUORE (1886) a ROMANZO DI UN MAESTRO (1890), a PRIMO MAGGIO (postumo 1980), combina modi realistici e patetico-sentimentali.

FRANCESCO DE SANCTIS

MORRA IRPINA (AV) 1817 – NAPOLI 1883

Allievo di Puoti, aprì una scuola privata e partecipò alla fallita insurrezione napoletana del 1848, in seguito alla quale dovette fuggire in Svizzera, dove elaborò un’autonoma revisione dell’estetica hegeliana. Dopo il 1860 fu ministro della Pubblica Istruzione. Alla produzione saggistica e critica di quegli anni si ascrive la STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA (1870-71), in cui cercò di spiegare gli autori e le loro opere, inserendoli nel contesto reale della cultura ed evidenziandone le appartenenze ideologiche.

ANTONIO FOGAZZARO

VICENZA 1842 – 1911

Di famiglia altoborghese, si laureò in Legge e affiancò all’attività letteraria l’impegno di cattolico liberale e modernista avversato dalla Chiesa conservatrice. Conseguito il successo, nel 1900 fu nominato senatore. I suoi romanzi rispecchiano la cultura contemporanea scandagliando le problematiche sociali e quelle interiori del singolo individuo, e si rivolgono ad un pubblico borghese raffinato e puritano.

CARLO EMILIO GADDA

MILANO 1893 – ROMA 1973

• Indirizzato alla carriera di ingegnere elettronico, diede inizio alla produzione narrativa pubblicando saggi, divagazioni e racconti sulla rivista Solaria. Morta la madre, cui fu legato da un rapporto difficile, si trasferì a Roma, come redattore letterario della RAI. Scrisse racconti, interventi critici e romanzi incompiuti, fra cui QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA (1946/47 e 1957) e LA COGNIZIONE DEL DOLORE (1938/41 e 1963). In essi si delineano i caratteri della società italiana in un ampio scorcio del Novecento, e si registra quel processo di uniformazione di massa che colpisce anche il linguaggio, creando una comunicazione basata sull’imbroglio, sulla mistificazione. Questo pessimismo radicale si esprime con una contaminazione di linguaggi e di stili, inseriti in una narrazione decentrata, eversiva, non finita, che assurse a modello delle avanguardie del Gruppo 63.

GIUSEPPE GIACOSA

COLLERETO PARELLA, oggi COLLERETO GIACOSA (TO) 1847 – 1906

Commediografo vicino ai moduli naturalistici, ma non esente da toni elegiaci o dimessi, registrò la frustrazione piccolo borghese; in collaborazione con Luigi Illica, scrisse libretti d’opera per Giacomo Puccini. La sua fortunata carriera ebbe inizio con la rappresentazione di una commedia in versi di ambientazione medievale: UNA PARTITA A SCACCHI (1873), che seguiva schemi tardoromantici, mentre i lavori più significativi: TRISTI AMORI (1887), COME LE FOGLIE (1900), nacquero dall’adesione ai moduli naturalistici, cui egli impresse un’originale fisionomia derivante da una sorta di rassegnazione alla realtà, e dal rifiuto dell’enfasi e dei colpi di scena.

VINCENZO GIOBERTI

TORINO 1801 – PARIGI (Francia) 1852

GUIDO GOZZANO

TORINO 1883 – 1916

Intrapresi gli studi di Legge, si dedicò alla letteratura e, frequentando i circoli culturali della sua città, conobbe i testi del decadentismo europeo. Oltre ad articoli di viaggio, scrisse fiabe, novelle, poesie, fra cui le raccolte LA VIA DEL RIFUGIO e I COLLOQUI, imperniate sul disadattamento del poeta rispetto alla cultura ed alla società. In accordo con i moduli decadenti, trattò una materia banale, ma lo stile quasi eloquente, eppure lontano dalla tradizione aulica, ne fa il rappresentante di una tendenza della lirica postdannunziana e postpascoliana, che Borgese definì crepuscolare.

FRANCESCO GUERRAZZI

LIVORNO 1804 – CECINA (LI) 1873

Fondatore del giornale repubblicano L’indicatore livornese, fu tra gli organizzatori dei movimenti insurrezionali del 1830 e del 1848-49. Più volte incarcerato, venne esiliato in Corsica. Nel 1860 fu eletto deputato nel partito avverso ai moderati. Autore di romanzi storici improntati al genere gotico inglese e di un romanzo sociale.

CAROLINA INVERNIZIO

VOGHERA (PV) 1851 – CUNEO 1916

Moglie di un ufficiale dei bersaglieri, ebbe una tranquilla esistenza borghese e risiedette a lungo a Firenze dove pubblicò, a tirature incredibili per l’epoca, 130 romanzi d’appendice che costituiscono la prosecuzione narrativa delle notizie di cronaca nera, muovendo quasi sempre da un delitto per concludersi con un processo riparatore.

FILIPPO TOMMASO MARINETTI

ALESSANDRIA D’EGITTO (EGITTO) 1876 – BELLAGIO (CO) 1944

Laureatosi in Legge, soggiornò a Parigi, ove pubblicò il manifesto del movimento futurista che esaltava il dinamismo della vita moderna e la violenza, intesa come affermazione dell’individualità. La polemica contro la tradizione è presente anche nel romanzo MAFARKA IL FUTURISTA e nelle poesie, dove sintassi e punteggiatura vengono sovvertite e l’arte si trasforma in arte – azione. Favorevole all’interventismo nazionalista e poi al fascismo, fu nominato accademico d’Italia.

GIUSEPPE MAZZINI

GENOVA 1805 – PISA 1872

EUGENIO MONTALE

GENOVA 1896 – MILANO 1981

Premio Nobel per la poesia nel 1975, fece il suo ingresso nel mondo della cultura come direttore del Gabinetto scientifico letterario Vieusseux, incarico da cui fu rimosso dopo il rifiuto di iscriversi al partito fascista. Il suo lavoro poetico, da OSSI DI SEPPIA (1925) e LE OCCASIONI (1939) a LA BUFERA (1956), fino a SATURA (1962-70), segue una linea di sviluppo in cui è centrale l’idea che la poesia sia veicolo del rapporto disarmonico fra individuo e mondo.

IPPOLITO NIEVO

PADOVA 1831 – mar Tirreno 1861

Di famiglia nobile si laureò in legge, dedicandosi alla letteratura. Partecipe delle vicende italiane, combattè nella II° guerra di indipendenza, ed ebbe la viceintendenza generale della spedizione dei Mille, con mansioni politico-amministrative; morì nel naufragio di un piroscafo sulla rotta Palermo – Napoli. Tra i suoi romanzi, CONFESSIONI DI UN ITALIANO (1857-58) edito postumo nel 1867, anticipa il romanzo psicologico di Pirandello e Svevo, e quello verista di Capuana e Verga.

VINCENZO PADULA

ACRI (CS) 1819 – 1893

Pubblicista, poeta e patriota, abbandonò a più riprese l’abito talare e l’insegnamento per partecipare alle cospirazioni antiborboniche. Fondò il periodico Il Bruzio, settimanale di tendenze democratiche, nel quale denunciò le condizioni di vita delle plebi calabresi.

GIOVANNI PAPINI

FIRENZE 1881 – 1956

Fu maestro, ma si dedicò all’attività di narratore, saggista e filosofo. Di orientamento vociano e futurista, fondò la rivista Lacerba insieme ad Ardengo Soffici. Dopo l’adesione al fascismo indulse ad atteggiamenti cattolico – reazionari. Alla sua eterogenea produzione appartengono le STRONCATURE, una raccolta di attacchi critici in cui il tentativo avanguardista di demolire testi come Faust, Amleto, Decameron, assume toni sarcastici fino al paradosso.

GIOVANNI PASCOLI

SAN MAURO DI ROMAGNA (FC) 1855 – BOLOGNA 1912

Figlio di un amministratore dei principi Torlonia ucciso da ignoti in un agguato, ebbe un’infanzia dolorosa e povera. Dopo la laurea, insegnò Letteratura latina presso vari licei italiani, quindi all’Università, e vinse numerosi concorsi di poesia latina ad Amsterdam. Le sue raccolte poetiche, da MYRICAE a POEMI CONVIVIALI, ODI ED INNI, PRIMI – e – NUOVI POEMETTI, fino alle CANZONI DI RE ENZIO, testimoniano un profondo rinnovamento della lirica italiana. Sul piano dei contenuti, Pascoli supera infatti la tradizione veristica e si inserisce nella corrente simbolista, caricando i dati realistici di significati nascosti.

FRANCESCO MARIA PIAVE

MURANO (VE) 1810 – MILANO 1876

Ex correttore di bozze, fu direttore artistico dei teatri La Fenice di Venezia e La Scala di Milano e scrisse un numero cospicuo di libretti d’opera collaborando anche con Verdi. I suoi versi per RIGOLETTO (1851), LA TRAVIATA (1853), SIMON BOCCANEGRA (1857), LA FORZA DEL DESTINO (1862), sono congeniali alla fase eroico popolare della musica di Verdi.

CARLO PISACANE

NAPOLI 1818 – SANZA (SA) 1857

GIUSEPPE PREZZOLINI

PERUGIA 1882 – LUGANO (Svizzera) 1982

Dopo studi irregolari, si dedicò all’opera di organizzatore della cultura. Fondò nel 1908 la rivista La voce, ispirata al pragmatismo, quindi all’idealismo militante. Geloso della propria indipendenza di intellettuale, non aderì al fascismo e lavorò per la Società delle Nazioni, poi in America.

CLEMENTE REBORA

MILANO 1885 – STRESA (VB) 1957

UMBERTO SABA

TRIESTE 1883 – GORIZIA 1957

Umberto Poli, noto sotto lo pseudonimo di Saba, dalla dizione ebraica della parola “nonno”, nacque da madre ebrea e da padre cattolico. Dopo un’infanzia difficile e povera, fu costretto a impiegarsi. Entrato in possesso di una libreria antiquaria, poté dedicarsi alla poesia, ma l’introduzione delle leggi razziali in Italia lo costrinse alla clandestinità. Gli ultimi anni furono segnati dall’aggravarsi di una nevrosi in atto da tempo, da intensi sprazzi creativi e dal tardivo riconoscimento dei meriti poetici.

CAMILLO SBARBARO

SANTA MARGHERITA LIGURE (GE) 1888 – SAVONA 1967

Sospeso dall’insegnamento dopo il rifiuto di aderire al fascismo, collezionò preziosi licheni e li vendette ai musei di tutto il mondo. Compose prose e poesie, molte delle quali vicine all’espressionismo. Descrisse aridità interiore e disagio esistenziale che rispondevano ad una personale esperienza di rapporto disarmonico con il reale.

MATILDE SERAO

PATRASSO (GRECIA) 1856 – NAPOLI 1927

Con il marito, il giornalista Scarfoglio, diresse vari quotidiani quindi, fallito il matrimonio, fondò Il Giorno. La sua produzione narrativa, nata all’insegna del romanticismo con il romanzo CUORE INFERMO (1881), si ispirò successivamente al verismo, mostrando capacità cronistiche di osservazione e descrizione, potenziate dal gusto per lo psicologismo inaugurato da Paul Bourget.

LUIGI SETTEMBRINI

NAPOLI 1813 – 1876

Allievo di Puoti, intraprese la carriera giuridica. Nel 1835 fondò la setta dei Figliuoli della Giovine Italia, ma fu incarcerato per cospirazione. La ripresa dei moti quarantotteschi lo vide di nuovo coinvolto in prima linea. Dopo l’unificazione, insegnò Letteratura italiana presso le università di Bologna e di Napoli, realizzando il progetto di una storia letteraria d’Italia e di un’autobiografia.

ITALO SVEVO

TRIESTE 1861 – MOTTA DI LIVENZA (TV) 1928

Pseudonimo di Aron Hector Schmitz. Lavorò per una banca viennese, quindi si occupò di una fabbrica di vernici della moglie. Nel 1893 pubblico a proprie spese il primo romanzo, UNA VITA, sotto lo pseudonimo di Italo Svevo. Sebbene sconfortato per il silenzio della critica, scrisse altri romanzi: SENILITÀ (1898) e LA COSCIENZA DI ZENO (1923). La sua opera, che godette di tardivi riconoscimenti dopo i giudizi positivi di Montale, supera le barriere del naturalismo, ma rifiuta il simbolismo e l’estetismo propri del decadentismo storico. Nella sua poetica, la letteratura si delinea infatti come lucida autoanalisi capace di demistificare le convenzioni della vita associata, e la scrittura come unica possibilità di fuga dal reale.

IGINO UGO TARCHETTI

SAN SALVATORE MONFERRATO (AL) 1839 – MILANO 1869

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA

PALERMO 1896 – ROMA 1957

Di famiglia aristocratica, compì lunghi viaggi e pubblicò saggi critici sulla letteratura francese. Negli ultimi anni di vita scrisse l’unico romanzo, IL GATTOPARDO, edito postumo nel 1958 a cura di Giorgio Bassani. Vicino ai modelli veristi per la cura ambientale e descrittiva, il romanzo se ne discosta per l’insistenza sui simboli del disfacimento e dell’autodistruzione, che lo collocano nella tradizione novecentesca.

FEDERIGO TOZZI

SIENA 1883 – ROMA 1920

Compiuti studi irregolari, si impiegò presso le Ferrovie dello Stato dedicandosi alla letteratura, ma la morte improvvisa gli impedì di veder riconosciuto il proprio valore. Nei suoi romanzi, fra cui TRE CROCI (1920) AD OCCHI CHIUSI (1919), IL PODERE (1921), rielaborò moduli narrativi del naturalismo e del verismo, fondendoli ad una forte propensione analitica.

GIUSEPPE UNGARETTI

ALESSANDRIA D’EGITTO (Egitto) 1888 – MILANO 1970

Pubblicò le prime liriche sulla rivista futurista Lacerba. L’adesione al fascismo gli valse la cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Roma. In ALLEGRIA DI NAUFRAGI (1919), si notano l’influsso del simbolismo francese e la ricerca di una parola pura. In SENTIMENTO DEL TEMPO (1933), testo guida dell’ermetismo, subentra un profondo sentimento religioso, mentre il lessico letterario è teso fino al limite di un personale barocco. In IL DOLORE (1937-46), morte e sofferenza si trasformano in sacrificio necessario per riedificare l’uomo, mentre LA TERRA PROMESSA (1950) è meditazione metaforica sulla precarietà dell’esistenza.

GIOVANNI VERGA

CATANIA 1840 – 1922

A Milano frequentò gli scapigliati e Capuana e maturò i canoni del verismo con opere acclamate dalla critica. Rientrato in Sicilia subì un’involuzione che si manifestò nel silenzio creativo e nell’assunzione di un orientamento politico filo nazionalista. La sua nuova poetica nacque dal desiderio di una narrazione oggettiva, scientifica ed impersonale. Analizzò gli effetti che le profonde trasformazioni economiche e sociali in atto provocavano su chi, lasciandosi travolgere dai nuovi valori imposti dal progresso, ne pagava il prezzo in termini di perdita di radici.

DINO BUZZATI

BELLUNO 1906 – MILANO 1972

Laureatosi in Legge, viaggiò in tutto il mondo come giornalista di guerra e corrispondente dall’estero. La sua opera di scrittore, basata su modalità narrative tradizionali, è permeata dal senso di angoscia dell’uomo di fronte al destino e dal senso di mistero che avvolge l’esistenza.

ITALO CALVINO

SANTIAGO DE LAS VEGAS (Cuba) 1923 – SIENA 1985

Partecipò attivamente al dibattito culturale e politico contemporaneo e collaborò con la casa editrice Einaudi. Dopo un lungo soggiorno parigino, visse tra Roma e San Remo. Dal primo romanzo del 1947, IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO, alle LEZIONI AMERICANE, le sei conferenze edite postume nel 1988, l’attività letteraria di Calvino è stata caratterizzata da una ricerca etico-conoscitiva e dalla fiducia in una letteratura intesa come educazione e come presenza attiva nella storia.

EDUARDO DE FILIPPO

NAPOLI 1900 – ROMA 1984

Figlio naturale di Edoardo Scarpetta – rinnovatore del teatro dialettale napoletano – fu attore, autore teatrale e interprete dei propri testi. A partire dagli anni ’40 scrisse opere di impianto tradizionale, imperniate sui temi dell’umanità e della solidarietà con cui i suoi “eroi di tutti i giorni”, di estrazione popolare, si difendono dall’ingiustizia sociale. Da NAPOLI MILIONARIA a GLI ESAMI NON FINISCONO MAI, le sue commedie oltrepassano i confini del teatro dialettale per inserirsi a buon diritto nel teatro nazionale italiano.

TOMMASO LANDOLFI

PICO (FR) 1908 – RONCIGLIONE (VT) 1979

Dopo la giovanile frequentazione dei circoli ermetici gravitanti attorno alla rivista Campo di Marte, si dedicò esclusivamente all’attività di scrittore, di traduttore e di divulgatore della letteratura russa. La sua opera narrativa elabora una poetica della paura umana di fronte a quanto di strano, misterioso e paradossale esiste nella realtà.

MARIO LUZI

CASTELLO DI FIRENZE (FI) 1914

(Questa mappa termina con l’anno 2000, fine del millennio. Mario Luzi morirà a Firenze nel 2005)

Traduttore, saggista, docente di Letteratura francese, nel 1977 pubblicò la raccolta di liriche : LA BARCA, e collaborò alle riviste: Il frontespizio, Letteratura e Campo di Marte, rendendosi interprete dello spisitualismo ermetico fiorentino. In una fase successiva, aperta dalle raccolte PRIMIZIE DEL DESERTO (1952) e ONORE DEL VERO (1957), si nota un allontanamento dai moduli ermetici. Negli anni ’60 – ’80, si volse a indagare il senso della vita e del dolore, servendosi di un linguaggio prosastico, scarnificato ed essenziale.

ELSA MORANTE

ROMA 1912 – 1985

Esercitò l’attività giornalistica e assieme al marito, lo Scrittore Moravia, diede impulso alla vita culturale romana, imponendosi anche per le sue qualità di narratrice. La sua poetica, all’inizio orientata su un’attenzione realistica coniugata all’analisi psicologica, subì una svolta negli anni ’60, allorché nel romanzo IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI, riprese la forma poematica tipica della neoavanguardia, per poi ritentare il romanzo tradizionale con LA STORIA del 1974.

ALBERTO MORAVIA

ROMA 1907 – 1990

Modello di intellettuale borghese militante, registrò la crisi dell’uomo contemporaneo esordendo con il romanzo GLI INDIFFERENTI (1929), che spiacque al fascismo, poiché vi si ritraeva in modo spietato la borghesia italiana. Le modalità narrative dell’opera parvero naturalistiche a taluni critici che la collocarono nel filone del realismo anni Trenta; tuttavia in essa era presente un’altra linea che, rimandando a Tozzi, Borgese e Svevo, portava a compiuta definizione il tipo dell’inetto.

PIER PAOLO PASOLINI

BOLOGNA 1922 – ROMA 1975

Regista, scrittore e critico militante, fondò e diresse le riviste Officina e Nuovi argomenti attribuendosi un ruolo di totale disomogeneità rispetto ai valori borghesi della società italiana. Da LA MEGLIO GIOVENTÙ (1954) in dialetto friulano, a LE CENERI DI GRAMSCI (1957), che inaugurano la linea civile, fino a TRASUMANAR E ORGANISAR (1971), la sua poesia si rifà alla tendenza antiermetica, che guarda al modello pascoliano. I romanzi, tra cui RAGAZZI DI VITA (1955) e UNA VITA VIOLENTA (1959) sono incentrati sul mito di una civiltà precapitalistica e contrappongono il gergo dialettale dei dialoghi al registro stilistico medio o alto delle parti narrative.

CESARE PAVESE

SANTO STEFANO BELBO (CN) 1908 – MILANO 1950

Durante il confino impostogli dal fascismo compose la prima raccolta di poesie: LAVORARE STANCA, pubblicata su Solaria. Collaborò con la casa editrice Einaudi, tradusse narrativa americana dell’Otto-Novecento e divulgò studi etnologici e psicologici, da cui trasse convinzioni centrali per la sua poetica e cioè che i miti, radicandosi nell’inconscio infantile, formano un sistema di simboli di cui l’adulto si avvale per decodificare la realtà e darle senso. La letteratura fu per lui escavazione di questo fondo mitico, recupero di una pienezza del Sé, che si perde diventando adulti. Pertanto se romanzi come IL CARCERE e PAESI TUOI (1941) indussero la critica a una lettura in chiave neorealista, oggi tale giudizio viene ridimensionato ed anche il linguaggio di Pavese, vicino ai moduli tipici del parlato, non viene più ascritto alla registrazione naturalistica verghiana, bensì all’epica antiletteraria dei modelli americani.

SALVATORE QUASIMODO

MODICA (RG) 1901 – NAPOLI 1968

Dotato di una vasta cultura da autodidatta, gravitò attorno alla rivista Solaria e vi pubblicò le prime liriche. Per la sua opera di poeta e di traduttore vinse il premio Nobel per la letteratura, ma fu anche avversato dalla critica. È collocato fra i poeti ermetici, almeno fino alla raccolta del 1942: ED È SUBITO SERA, benché tratti tipici dell’ermetismo caratterizzino anche la linea “civile” della sua poesia, fino a DARE E AVERE del 1966.

EDOARDO SANGUINETI

GENOVA 1930

(Questa mappa termina con l’anno 2000, fine del millennio. Mario Luzi morirà a Firenze nel 2010)

Autore di romanzi sperimentali, poeta, critico e saggista, è stato tra i fondatori del Gruppo 63 ed ha collaborato a riviste accademiche e di movimento, fra cui Letteratura, Lettere italiane, Officina, Il Verri. Convinto che ogni operazione ideologica abbia un suo corrispettivo nel linguaggio, la sua poesia ne attua la destrutturazione per fare esplodere le contraddizioni del reale e del sistema ideologico dominante.

LEONARDO SCIASCIA

RACALMUTO (AG) 1921 – PALERMO 1989

Saggista, giornalista e narratore, soggiornò a Roma ed a Parigi, anche se l’amata Sicilia fu sempre al centro del suo impegno, ideologico e culturale. Nei romanzi di carattere autobiografico, come GLI ZII DI SICILIA (1958), e in quelli di carattere politico, come TODO MODO (1974), si ravvisa la lezione del neorealismo, da intendersi come attenzione alla realtà storica ed umana, e come ferma volontà di comprenderla, mentre nello stile si rivela l’influsso del classicismo di La Ronda.

ELIO VITTORINI

SIRACUSA 1908 – MILANO 1966

Scrittore, giornalista, traduttore e divulgatore della letteratura anglo-americana, partecipò con personale coinvolgimento alle vicende politiche dell’Italia, aderendo al fascismo rivoluzionario, alla Resistenza ed alla Sinistra, da cui si distaccò nel 1951 per dedicarsi alla attività editoriale. La sua vasta cultura da autodidatta gli permise scelte consapevoli e l’autorevole difesa dei nuovi modelli novecenteschi: dalla prosa d’arte rondesca, all’europeismo della rivista Solaria, di cui fu redattore, fino alla letteratura neorealistica, impegnata a creare una tradizione di arte realistica e rivoluzionaria, di cui il romanzo CONVERSAZIONE IN SICILIA costituisce esempio rilevante.

ANDREA ZANZOTTO

PIEVE DI SOLIGO (TV) 1921

(Questa mappa termina con l’anno 2000, fine del millennio. Mario Luzi morirà a Firenze nel 2011)

La sua poesia, improntata alla tradizione ermetica in DIETRO IL PAESAGGIO (1951), si è ben presto orientata, da IX ECLOGHE (1962) a IDIOMA (1986), verso un’originalissima ricerca, in cui confluiscono interessi scientifici, linguistici e meditazioni filosofico-culturali. Vicino alle neoavanguardie nell’asserire l’inautenticità dei linguaggi normativi, egli ne scandaglia i residui per rintracciare un qualche significato nella contemporaneità e nella storia.

LIRICA DIDATTICA-RELIGIOSA

La lirica didattica e religiosa costituì una delle prime manifestazioni letterarie in lingua volgare. La lirica religiosa fiorì nel Duecento in area umbra e venne destinata ad un pubblico ampio, per farlo partecipe di un’ansia di rinnovamento spirituale profondamente avvertita non solo dai movimenti ereticali che rifiutavano l’autorità ecclesiastica, ma anche dai movimenti ortodossi e dalle confraternite che appoggiavano i dettami della Chiesa. Le forme di questa lirica comprendono in primo luogo la prosa ritmata, esemplata sulla struttura dei salmi o delle giaculatorie responsoriali, in secondo luogo la lauda, che adotta il metro della ballata, infine la lauda drammatica, che si serve di una struttura dialogica o di contrasto con vari personaggi dialoganti fra di loro. Esempio insigne di prosa ritmata è le Laudes creaturarum, o Cantico di frate Sole, di San Francesco d’Assisi. Nato come preghiera ad uso dei frati, inneggia agli elementi costitutivi dell’universo, in quanto capaci di rivelare la bellezza invisibile di Dio, e si oppone al rifiuto del mondo terreno, propagandato dai movimenti ereticali contemporanei e dall’ascetismo ortodosso. La lauda invece, venne trasmessa all’inizio in forma anonima e oralmente, poi venne affidata alla scrittura in compilazioni ordinate per gruppi tematici, dette laudari. Questi ultimi erano destinati all’uso pratico delle confraternite laiche per esprimerne il fervore religioso con canti, intonati nel corso di cerimonie liturgiche e di processioni. La lauda drammatica costituì una forma più evoluta di lauda e venne largamente usata da Jacopone da Todi, che fu il primo a conferirle dignità di forma d’arte, destinandola alla meditazione individuale dei frati francescani. A questo genere di lirica di argomento prettamente religioso si affiancò una produzione didattica di carattere sacro e profano. Essa si sviluppò in Italia centro settentrionale anche in ambito laico per rispondere alla richiesta di una letteratura in volgare che divulgasse insegnamenti religiosi o che indicasse norme comportamentali cui il popolo cristiano doveva attenersi per conquistare il premio della vita eterna. Si tratta di tesi a struttura argomentativa, contenenti proverbi, narrazioni di vicende esemplari o exempla, vite di santi, destinati ad un pubblico senza molte pretese. Le forme usate sono quelle delle prediche o dei sermoni, delle rassegne di vizi e di virtù. Usate sono anche le forme del trattato o del manuale con finalità divulgativa avente per oggetto le arti liberali, e cioè: grammatica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia, oppure le scienze e le attività pratiche. Tra i principali rappresentanti di questo genere si annoverano Brunetto Latini, Bonvensin da la Riva, Giacomino da Verona, Cecco d’Ascoli e Girardo Patecchio.

PROSA IN LINGUA VOLGARE

Fino alla metà del Duecento, la letteratura in lingua volgare trovò espressione solo nel genere lirico; per la prosa si faceva uso di un latino ricercato, improntato a quattro stili: quello romano, diffuso presso la Curia papale ed i monaci benedettini, che era una sorta di prosa ritmata, scandita dal cursus, cioè dalla disposizione delle parole in base ai loro accenti naturali. Vi erano poi lo stile tulliano, quello ilariano, quello isidoriano. Anche i decreti e gli atti legislativi erano scritti in latino, anzi le autorità laiche ed ecclesiastiche, continuando una prassi in voga dal II secolo d. C., li facevano sfilare in forma di lettera, al punto che l’arte della prosa era identificata con l’arte del comporre lettere, detta in latino ars dictandi. Allorché a Bologna fu istituita una scuola laica di diritto, l’ars dictandi divenne materia di insegnamento universitario, perché i futuri giudici e notai dovevano imparare a redigere correttamente tutti gli atti riguardanti la politica interna ed estera del Comune. Risultò pertanto necessario alla pratica didattica il ricorso a manuali di ars dictandi, per illustrare gli aspetti tecnici della disciplina. Verso il 1250 tra gli esami obbligatori del corso di diritto venne inserito anche il volgare italiano, ragion per cui vennero approntati manuali di ars dictandi in volgare. Una volta codificata, la prosa italiana venne perfezionata tramite i volgarizzamenti, cioè libere traduzioni in italiano di testi latini e francesi, antichi e contemporanei, che incontrarono l’interesse di mercanti e artigiani assurti al potere economico nella nuova realtà comunale e desiderosi di acculturarsi. Tra coloro che si distinsero nell’opera di volgarizzamento vi furono Guidotto da Bologna, Bono Giamboni, Brunetto Latini.

LIRICA SICILIANA

La lirica siciliana si sviluppò agli inizi del XIII secolo. A quell’epoca nell’isola sopravvivevano ancora tracce delle culture che vi avevano dominato, e cioè quella franco-normanna, quella greco-bizantina, quella araba. La Sicilia era tuttavia venuta in possesso degli Svevi e Federico II, dopo la sua incoronazione a imperatore, vi si stabilì per qualche tempo. Fu proprio l’imperatore, che aveva imparato il volgare italiano come lingua madre e che lo usava come lingua corrente a corte, a promuovere nella sua cerchia una lirica in lingua volgare, cercando nel contempo di promuoverne la diffusione a guisa delle corti provenzali dove circolava in raccolte antologiche manoscritte. Tuttavia la dimestichezza con la lirica dei trovatori non rappresentò per i siciliani l’unica formazione letteraria, né l’unica connessione storica. La classe dirigente che attorniava Federico II e che si impegnò anche nell’attività letteraria da lui promossa, era costituita da funzionari che avevano compiuto studi di giurisprudenza e che pertanto dovevano possedere una buona conoscenza sia della lingua latina che di quella volgare, entrambe materia d’esame all’università. La lirica siciliana si diffuse ben presto nell’Italia centro settentrionale poiché il figlio di Federico II, Enzo di Svevia, re di Sardegna, catturato dai guelfi a Fossalta nel 1249 e tenuto prigioniero a Bologna fino alla morte, esercitò un notevole influsso sui poeti di quella città, essendo egli stesso un autorevole rappresentante della scuola. Le forme liriche privilegiate dai siciliani furono quelle della canzone e del sonetto; i metri più in uso furono il settenario e l’endecasillabo. La canzone è un’imitazione ed al tempo stesso una trasformazione della canzone a più strofe dei trovatori. Tuttavia, nella composizione di canzoni, i poeti siciliani evitarono salti tematici ed incoerenze, che erano tratti tipici della lirica provenzale, cercarono invece di conferire al componimento poetico una interna coesione. La paternità del sonetto viene attribuita a Giacomo da Lentini che, secondo alcune teorie, combinò fra di loro due forme strofiche popolari: l’ottava siciliana o strambotto e la sestina toscana o rispetto, secondo altre si servì del tipo semplice della strofa della canzone. La struttura formale del sonetto ne rivela il carattere fortemente razionale ed intellettualistico, che si mantenne anche quando esso non si articolò più su concetti, bensì su situazioni spirituali. Il sonetto permetteva infatti la costruzione di un sillogismo: nelle due quartine si creavano due premesse, quella maggiore e quella minore, nelle terzine la conclusione. Quanto ai temi sviluppati da questa lirica, essi sono prevalentemente di carattere amoroso; le tematiche politiche, religiose o morali sono invece meno frequenti. Pur comparendo presso i siciliani anche una poesia amorosa di tono popolareggiante, lo poesia dell’amore nobile, del fine amore, come dice la formula con evidente richiamo ai trovatori, rimase superiore ad essa per grado e forma artistica. L’amore si manifesta come smarrimento, come fiamma che consuma, come malattia inguaribile. L’amante si lamenta per la lontananza e la freddezza della donna e, nella sconfitta, scopre la grandezza dell’animo. La donna è amata poiché possiede la nobiltà di una signora, una nobiltà che non le viene dal rango, ma dal possesso di qualità morali ed estetiche. L’amore non viene considerato un destino personale, ma un destino comune a tutti gli uomini. Tuttavia, più che la gioia d’amore, viene celebrato il dolore, inteso come sede dell’amore nobilitante, quello che conduce ad una nuova vita.

LIRICA CORTESE TOSCANA

La lirica che si sviluppò nell’area toscana nella seconda metà del Duecento non presenta la stessa omogeneità di programmi e di atteggiamenti che caratterizzò la lirica siciliana e neppure fu localizzata in un’unica sede. Lucca, Pisa, Pistoia, Arezzo, Siena e Bologna furono infatti i centri di una produzione lirica che fuse lo stile siciliano con la tradizione provenzale, anche in seguito all’apporto fornito da Enzo di Svevia durante gli anni di prigionia bolognese. La novità più rilevante di tale lirica siculo-toscana fu l’allargamento della tematica alla trattazione morale o all’occasione politica, in cui giocò un ruolo importantissimo il contesto di provenienza dei poeti, un contesto urbano e comunale guidato da una borghesia di cui si volevano rispecchiare aspirazioni, programmi e valori. Il desiderio di farsi portatori dei valori della classe dirigente comunale spinse questi poeti a riprendere temi propri della lirica provenzale, che erano stati trascurati nella produzione poetica dei siciliani, ad esempio gli interessi e le aperture verso la tematica morale. Il poeta che meglio riuscì a fondere le espressioni della lirica provenzale e siciliana fu Guittone d’Arezzo. La poesia con cui egli affrontò la problematica amorosa è aspra, oscura e tuttavia presenta una robusta strutturazione concettuale e sintattica; la poesia di argomento politico, morale e spirituale è invece contrassegnata da un’originale mescolanza linguistica di elementi italiani, provenzali e latini, da vistose figure retoriche, che si risolvono spesso in un avanzato sperimentalismo. Un altro rappresentante di questa linea siculo toscana fu Bonagiunta Orbicciani da Lucca, il quale ebbe il merito di trapiantare in Toscana la tematica amorosa propria dei modelli meridionali, facendosi anticipatore dello stilnovismo, mentre Chiaro Davanzati traspose in area toscana le esperienze guittoniane e stilnovistiche.

LIRICA COMICO REALISTICA TOSCANA

La lirica in stile burlesco nacque in Toscana intorno al 1270 come estrema antitesi dello stile nobile della lirica che celebrava il sentimento amoroso. Nell’antica retorica, la celebrazione satirica o parodistica del brutto, del vile, veniva designata con il termine denigrazione. Il concetto di denigrazione era stato sottoposto ad una elaborazione teorica, che ne aveva codificato gli aspetti stilistici e tematici, opponendovi il concetto di celebrazione. Lo stile denigratorio era oggetto di esercitazioni nelle artes dictaminis, per cui fu coltivato soprattutto da autori colti e letterariamente esperti. I caratteri stilistici della lirica burlesca sono il linguaggio rozzo, dialettale, popolare, l’uso di metafore non comuni, la rappresentazione eccessivamente cruda e caricaturale del reale. I temi principali si conformano allo stile: si parla di affari economici, di usura, di bevute, di litigi, si fanno battute a sfondo sessuale, si dileggia il clero, si impreca contro i genitori. La realtà viene stravolta oppure viene usata come materiale per produrre effetti comici. Va pertanto ridimensionato il concetto di realismo e la possibilità di accostarlo a questo tipo di produzione lirica, che resta un esercizio letterario, una convenzione stilistica e non una partecipazione di fatti personali. In questo stile denigratorio può rientrare a buon diritto anche la parodia letteraria dello stilnovo, che si presenta come rappresentazione della donna amata carnalmente in tutti i suoi aspetti. Benché questo stile di poesia affondi le proprie radici in una tradizione giocosa ampiamente codificata dalla retorica mediolatina, essa può essere definita borghese, poiché derivò una serie di temi da quei ceti che più erano rappresentati nel contesto urbano comunale.

DOLCE STIL NOVO

Il fenomeno letterario denominato dolce stil novo nacque negli anni 1280-1310 e la formula che lo contrassegna a partire dal secolo XIX, si trova all’origine in un passo del canto XIV del Purgatorio di Dante, che condivise quell’esperienza poetica con Guido Cavalcanti, Dino Frescobaldi e Cino da Pistoia. La locuzione viene fatta pronunciare a Bonagiunta Orbicciani da Lucca, che aveva composto versi nello stile dei provenzali e dei siciliani e che definisce il modo di poetare di Dante e dei suoi amici: nuovo, per indicare una poesia rinnovata che si apre al canto e dolce per indicare l’irradiarsi purificatore della grazia divina, ma anche gli effetti di amore, ed infine lo stile medio con cui si esprimeva la poesia amorosa e bucolica nella poesia ellenistica e latina. Un aspetto saliente della scuola stilnovistica fu senza dubbio il legame rituale che univa i poeti del gruppo, i quali si definivano “fedeli d’amore”, allo scopo di evidenziare l’appartenenza ad una élite culturale, che si muoveva nel cerimoniale dell’amore platonico e che nella sua lirica altamente stilizzata, cercava di evitare qualsiasi riferimento individuale. Il dolce stil novo affonda le proprie radici nella tradizione provenzale e siciliana, da cui si distacca senza vere e proprie fratture. Allo stesso modo che nei poeti siciliani e provenzali, l’amore viene inteso come amore spirituale, che non desidera essere esaudito. Tuttavia esso viene concepito come forza sacrale, che si avvicina a dimensioni cosmiche, con un’accentuazione dell’oscurità concettuale. Anche il motivo tipicamente platonico della purificazione attraverso l’amore, già presente nella poesia provenzale, subisce una forte accentuazione nei poeti stilnovisti, così come viene portato all’estremo il concetto di trasfigurazione dell’animo attraverso la trasfigurazione della donna, che perde la sua materialità e diventa creatura angelica, riflesso della sua origine celeste nonché strumento di una elevazione spirituale che si produce nell’amante. Questa poesia si pone dunque come analisi, in parte allegorica, in parte fisiologica, di situazioni spirituali e presenta connessioni con la rielaborazione cristiana del platonismo, cioè con la mistica, mostrando l’amore spirituale in un movimento ascensionale che resta indicibile quando si annulla la distanza fra l’essere umano e Dio. Per quanto riguarda le forme metriche ed i generi, la lirica stilnovistica non presenta grandi differenze rispetto alla lirica siciliana. Si nota un largo uso dell’endecasillabo, talora mescolato con il settenario. I generi più importanti restano la canzone, che diventa più chiara nella concatenazione logica ed il sonetto. Accanto a questi due generi si riscontra la presenza di ballate. La ballata, coltivata dai poeti provenzali e francesi fra XII e XIII secolo, era in origine una canzone a ballo. Introdotta in Italia da Guittone d’Arezzo e da Bonagiunta Orbicciani da Lucca, aveva subito una modificazione del suo carattere originario di canto d’amore di intonazione popolare. I poeti stilnovisti operarono una più profonda trasformazione del genere, fino a rendere la ballata simile alla canzone pluristrofica, da cui si differenziava solo per la presenza di un ritornello o ripresa che introduceva tutto il resto. Anche il carattere originario della canzone andò completamente perduto, perché essa fu trasformata in una poesia seria, atta a cantare l’amore elevato. Gli stilnovisti sperimentarono anche il genere della pastorella, già sperimentata dai poeti provenzali, che l’avevano ripresa dall’antica tradizione bucolica. Abile sperimentatore del genere della canzone e della pastorella fu Guido Cavalcanti.

PROSA E CRONACA

La prosa volgare duecentesca, codificata nei manuali di ars dictandi in volgare e perfezionata attraverso i numerosi volgarizzamenti di testi latini o francesi antichi e contemporanei, diede luogo ad una vasta produzione con finalità didattiche di carattere profano o religioso, ad opere di carattere storico o cronachistico, ad un tipo di prosa che si colloca a metà strada fra quella didattica e quella cronachistica, come i libri di viaggi e di memorie, infine ad una narrativa romanzesca e novellistica. La produzione didattica risentì di una tendenza all’allegorismo che attraversò la produzione letteraria in volgare fino al Trecento e che si connota come ricerca di un senso nascosto negli aspetti sensibili della realtà, ma anche come approccio all’interpretazione o alla creazione di testi. All’interno di questa tendenza si colloca ad esempio Il Libro dei vizi e delle virtudi, del fiorentino Bono Giamboni, in cui personaggi allegorici, primo fra tutti la Filosofia, avviano il protagonista all’indagine sulle verità morali con una finalità di tipo didattico. Analogo scopo didattico si rileva anche nella trattatistica in prosa volgare, di cui fornisce un esempio La composizione del mondo con le sue cascioni, di Ristoro d’Arezzo, vera e propria summa del sapere universale, poiché tenta di ricomporre in un rigido ordine la pluralità del sapere rivelando in tal modo la tendenza enciclopedica della cultura medievale, che si sforzò di dare una visione totale delle conoscenze, riconducendo la loro prima causa ed il loro fine in Dio. La prosa cronachistica in volgare affrontò la storia contemporanea di ambito locale, poiché la ricostruzione dei grandi eventi fu affidata ad una redazione in lingua latina. Queste cronache si avvalgono di una prosa schematica, asciutta, tesa solo alla elencazione dei fatti; solo in taluni casi si nota una maggiore apertura verso l’aneddotica come nella Historia fiorentina di Ricordano Malaspini. Alla confluenza fra produzione cronachistica e produzione didattica si collocano i resoconti di viaggio, fra cui quello di Marco Polo che offre uno spaccato del sistema di valori su cui si reggeva la società mercantile verso la fine del Duecento, e cioè denaro, scaltrezza, intraprendenza. All’incirca nello stesso periodo si diffuse in Italia una produzione romanzesca di provenienza francese, che servì a diffondere situazioni, miti umani e modelli di comportamento ispirati al mondo cavalleresco. Si trattava delle chansons de geste, ispirate a leggende di cavalieri bretoni o carolingi. Molti autori di area veneta utilizzarono il francese come lingua d’arte per comporre romanzi di imitazione, mentre è in volgare italiano la trasposizione anonima delle vicende di Tristano, cavaliere di re Artù, che riprende la materia bretone, e che è nota sotto il nome di Tristano Riccardiano, in quanto il codice che lo contiene è conservato nella biblioteca Riccardiana di Firenze. Questi testi erano destinati alla lettura ed all’intrattenimento di un pubblico borghese ed aristocratico, allo stesso modo delle novelle, che nello stesso secolo XIII ebbero ampia diffusione. La novella duecentesca si sviluppò da molteplici tradizioni narrative, fra cui quella degli exempla, testi brevi che fin dalla tarda antichità venivano usati nella letteratura moralistica come documenti di verità sapienziali e, in quanto tali, irrefutabili. Determinante fu anche il rapporto con le favole popolari e con le forme di intrattenimento di aristocratici o borghesi, che amavano la narrazione secca, scarna, mirante ad illustrare le implicazioni morali o religiose di una vicenda. L’autore di novelle in volgare che rielaborò con una certa autonomia questo ricco patrimonio, assumendolo anzi entro una lingua nitida ed essenziale, fu l’Anonimo del Novellino.

PROSA E CRONACA

La prosa trecentesca fu caratterizzata da una pluralità di manifestazioni e di tendenze, che non furono oggetto di classificazione e codificazione, da cui risultassero con chiarezza la loro natura, i loro contenuti, lo stile, le finalità e la destinazione. L’elaborazione teorica, quando ci fu, riguardò solo la natura ed il significato dell’arte, che vennero considerate in un’ottica teologico-filosofica, oppure i problemi della lingua e dello stile, affrontati da un punto di vista retorico. Tuttavia in questo secolo la letteratura in volgare riuscì ad imporre dei modelli anche per l’intensificarsi dell’attività di volgarizzamento degli autori latini, che innescò un confronto con i classici ed incrementò l’elaborazione di una prosa sempre più curata, di stile alto, come accadde per la produzione novellistica di Boccaccio. La mancanza di una codificazione dei generi della prosa trecentesca non implica l’assenza in essa di elementi comuni. Primo fra questi fu un’assai ampia utilizzazione del volgare, divenuto il principale strumento di comunicazione dell’aristocrazia e degli strati borghesi e mercantili, e la contemporanea perdita di vitalità della cultura in lingua latina, sebbene Chiesa e Università continuassero a farvi riferimento ed a praticarla. In secondo luogo, la prosa si orientò in due direzioni precise. Da un lato vi fu una ripresa degli schemi della letteratura in volgare, codificati nel Duecento; dall’altro lato, soprattutto verso la fine del secolo, quando più forti si fecero i segnali della crisi che attraversava le istituzioni cittadine e repubblicane, maturò un nuovo rapporto con il mondo classico e si sviluppò una prosa umanistica, cioè una prosa più attenta all’individuo, considerato nella sua specificità e concretezza. Un’altra tendenza comune alla prosa del Trecento fu l’impostazione enciclopedica, in base alla quale la realtà ed il sapere, seguendo una tradizione già presente nel Medioevo, furono oggetto di una sistemazione unitaria, che trovava in Dio il suo unico fondamento. Tale tendenza è avvertibile soprattutto nelle opere storiche e cronachistiche che, specie in Toscana, furono redatte da scrittori quasi sempre partecipi della vita politica, si pensi a Dino Compagni, a Giovanni Villani; e mentre fra gli scrittori toscani il modello linguistico prevalente fu la prosa boccaccesca in altre aree dell’Italia le cronache locali furono stilate in un volgare ricco di influssi dialettali, come accade nella Cronica di Anonimo romano, oppure nella Cronaca aquilana, redatta da Buccio di Ranallo. Affinità con la cronaca presentano i libri di ricordanze ed i resoconti di viaggi che, redatti da mercanti o da uomini d’affari, come Pitti, Dati, Velluti, Sigoli, Gucci, Frescobaldi, propongono vicende strettamente familiari, ma anche squarci di storia cittadina o eventi che si ricollegano assai indirettamente alla vita dello scrittore, in modo che le future generazioni potessero avvalersi di una serie di esempi da ricercare o da evitare. Tali libri rientrano nell’ambito di una prosa didattica, ma di tipo laico e pragmatico. Il filone degli exempla, con finalità prettamente didattiche e religiose, proseguì lungo il corso del Trecento anche all’interno di trattati, di prediche e di leggende agiografiche, prodotti nell’area francescana e domenicana. Alla prosa di intrattenimento appartenne invece la narrativa romanzesca, che presenta affinità di contenuto con i cantari, componimenti in ottava rima trasmessi oralmente e recitati nelle piazze, ed in cui vennero sviluppati temi cortesi che riscossero grande successo presso il pubblico, come accadde al romanzo I reali di Francia, di Andrea da Barberino. In un contesto culturale in rapido mutamento, quale fu quello trecentesco, si sviluppò un altro tipo di narrativa da intrattenimento: la novella, che trovò in Boccaccio un autore d’eccezione. Egli infatti rinnovò il tipo letterario della novella, trasformandola in genere autonomo; inoltre, adattando la prosa volgare alle pause ed ai ritmi di quella latina, egli impose un nuovo modello linguistico e stilistico, che influì profondamente sulla prosa, e non solo su quella trecentesca.

LIRICA

La lirica trecentesca si fece espressione di una tendenza tardo gotica, che attraversò il secolo, e che fu caratterizzata dalla ripresa di forme della cultura cortese e comunale, rielaborate con un’eleganza preziosa e con una nostalgica contemplazione di una cultura e di una realtà che andavano progressivamente estinguendosi.

TEORICI DELL’UMANESIMO

La dizione ottocentesca di umanesimo si applica a quel vasto movimento culturale che, sorto verso la fine del Trecento, caratterizzò tutto il Quattrocento realizzando un diverso tipo di approccio allo studio del passato classico. Nel 1396, quando Coluccio Salutati invitò Manuele Crisolora, ambasciatore dell’Impero bizantino, a recarsi a Firenze per insegnare letteratura greca allo Studio fiorentino, si era già affermata una mentalità volta alla valorizzazione dell’uomo e del suo ruolo all’interno della società. Nella nuova realtà signorile, in parte già sorta nel secolo XIII, si era infatti delineato un nuovo concetto di virtù, quella dell’individuo che persegue fini terreni e che impone con successo se stesso ed il proprio potere. La rivalutazione dell’uomo, concepito come artefice della propria fortuna, contrassegnò la definitiva disgregazione della società feudale e comunale, ed il crollo dei grandi valori universali di matrice medievale, in cui rientrava l’idea che la vera vita fosse quella dell’anima svincolata dal corpo, e che la vita terrena fosse solo un passaggio obbligato in vista della salvezza eterna dello spirito. Simile visione del mondo comportava il disprezzo per qualsiasi attività che non fosse strettamente connessa al cammino dell’uomo verso la salvezza. Anche lo studio, soprattutto se rivolto a testi della letteratura pagana, acquistava significato solo in vista di una fruizione edificante. Di contro, la cultura umanistica si pose il problema di un controllo totale, da parte dell’uomo, dei diversi ambiti della conoscenza ed elaborò una nuova riflessione sulla letteratura. In opposizione alla tendenza medievale di studiare le opere del passato sovrapponendovi una verità di fede che era loro estranea, gli umanisti cercarono di analizzarle usando l’intelligenza, la ragione e la consapevolezza della loro dimensione storica. Questo approccio di tipo filologico ai testi della letteratura pagana costituì la grande novità introdotta dagli umanisti. La loro riflessione teorica venne redatta quasi esclusivamente in latino e si volse alla esaltazione dello studio inteso come strumento di liberazione dell’uomo dai vincoli imposti dalla cultura medievale. Prima del definitivo indebolimento delle istituzioni repubblicane, cioè fino alla seconda metà del ‘400, lo studio venne concepito come funzionale allo svolgimento di attività politiche. Per questo teorici dell’umanesimo quali Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, esaltarono la vita attiva, ovvero la diretta partecipazione dell’intellettuale alla modificazione della società. Alla fine del secolo, con il rafforzarsi dei regimi signorili l’esaltazione del ruolo attivo dell’uomo nella concretezza della vita associata passò in secondo piano, mentre prevalse la domanda circa la natura dell’uomo ed i suoi rapporti con Dio. Pico della Mirandola sottolineò che il privilegio della condizione umana consiste nella mancanza di condizionamenti, cioè nell’estrema libertà di scegliere il proprio destino, sia esso di gloria o di sconfitta, in cui si rivela la somiglianza dell’uomo con Dio. Da tali presupposti scaturiva anche la convinzione che l’essere umano potesse farsi promotore di un’autonoma ricerca della verità, perseguibile attraverso lo studio. Si diede cioè risalto alla vita contemplativa. Tale fu la posizione di Cristoforo Landino, il quale ribadì l’importanza della formazione culturale dell’intellettuale, poiché a suo parere la conoscenza ed una forma aristocratica di solitudine potevano permettergli di svolgere un ruolo all’interno della società: quello del buon consigliere dei cattivi reggitori dello Stato. Gli umanisti si trovarono dunque impegnati a diffondete le nuove idee sul piano politico morale, ma anche a difendere le loro scelte culturali dagli attacchi della cultura tradizionale, sostenendo la continuità esistente tra mondo classico e civiltà cristiana e la liceità della poesia in virtù del suo intrinseco valore pedagogico.

TRATTATISTICA

Il trattato è un’opera in prosa, talora in forma dialogica, che affronta argomenti diversi adducendo di volta in volta prove, dimostrazioni, confutazioni. In quanto genere letterario esso fu presente nella produzione medievale, ma svolse un ruolo predominante nella prosa del ‘400 poiché la riscoperta del mondo classico indusse a praticarne i generi e a sostituire il principio di autorità medievale con quello di imitazione, che dava agli uomini di cultura il rivoluzionario diritto di rielaborare autonomamente gli esempi antichi. La riscoperta del passato classico comportò anche precise scelte linguistiche in favore del latino, che divenne la lingua della cultura. La più parte della trattatistica quattrocentesca, soprattutto quella volta a dibattere il concetto di imitazione, oppure gli strumenti e le tecniche di cui doveva avvalersi la letteratura, fu composta in latino. Solo alcuni dotti, si impegnarono nella Difesa del volgare e in questa lingua composero trattati tendenti ad enunciare o a dimostrare le loro nuove posizioni teoriche. Leon Battista Alberti, Cristoforo Landino riproposero nei trattati in volgare le argomentazioni in difesa della dignità dell’uomo che, secondo Alberti, contrappone all’agire cieco del caso le sue virtù, ovvero le sue capacità di previsione e l’impegno costante nel raggiungere un obiettivo prefissato. Nell’ambito di una rivalutazione degli aspetti laici e mondani dell’operato umano, benché inseriti nella prospettiva cristiana di una ricompensa celeste per chi ha operato sulla terra in favore del pubblico bene, si colloca anche il trattato in volgare di Matteo Palmieri: Della vita civile, mentre il trattato di Girolamo Savonarola contro gli astrologi, cioè contro l’arte di fare gli oroscopi, tende a fornire una dimostrazione scientifica della falsità delle scienze occulte e venne scritto in volgare rispondendo all’intento di un’ampia divulgazione. Materiale preparatorio per trattati mai conclusi sono invece le annotazioni di carattere tecnico e scientifico con cui Leonardo da Vinci corredò i suoi disegni ed i suoi progetti, e furono redatte in volgare poiché egli non ebbe una formazione culturale umanistica. Tuttavia le sue affermazioni circa le infinite possibilità dell’uomo, capace di indagare perfino il cosmo, basandosi sulla speculazione scientifica, dimostrano che egli aveva profondamente assorbito la lezione dell’umanesimo ed aprirono la strada ad un uso del genere finalizzato al dibattimento di problemi scientifici. I trattati in volgare vennero composti anche per sostenere la dignità di questa lingua, che poi veniva identificata con il toscano, avviando una riflessione circa la sua origine, i suoi ambiti di utilizzazione e le sue virtualità letterarie.

LIRICA

L’esperienza poetica quattrocentesca si svolse all’insegna di una indeterminazione stilistica, che comportò numerosi scambi fra il latino ed il volgare, ma non il conseguimento di una fisionomia autonoma. A seconda delle aree regionali, vennero operate scelte diverse, che si tradussero o in una sperimentazione aperta, o nella compresenza di forme stilistiche nettamente differenziate. Alcuni autori come Boiardo, Poliziano, Lorenzo il Magnifico e soprattutto Sannazaro fecero propria l’esperienza delle Rime di Petrarca, portando il processo di imitazione ad esiti abbastanza fedeli al modello, sia per quanto riguarda la ricerca di organicità nelle scelte tematiche, sia per l’adozione della struttura metrico ritmica del sonetto, della canzone, della ballata. Tuttavia, essi introdussero nella loro poesia una sensibilità nuova, fatta di vitalismo gioioso, di naturalismo elementare e pagano, ben lontana dall’itinerario tracciato dalla poesia di Petrarca e dal suo tono intimo e profondo. Dall’adesione, spesso superficiale, al modello petrarchesco nacque anche una lirica, che trovò ampia utilizzazione nelle più disparate occasioni private, politiche e mondane della vita di corte quattrocentesca e che fu all’origine di un fenomeno noto sotto il nome di petrarchismo. Caratteristica peculiare di questo petrarchismo cortigiano fu l’estrapolazione di temi e l’uso di artifici stilistici già presenti nel Canzoniere di Petrarca, ma solo perché subordinati alla ricerca di una superiore armonia. Poeti come il barcellonese Benedetto Gareth, divenuto napoletano di adozione e noto come il Cariteo (1450 / 1514), oppure Niccolò da Correggio, diedero agli artifici un ruolo primario, anticipando una scelta di gusto, che si realizzò in pieno con il manierismo ed il barocco. La poesia di età umanistica si impegnò anche in tutti i generi dominanti in età classica o tardoantica, sperimentandone le scelte metriche e tematiche. Si composero elegie, che presero a modello i poeti latini Ovidio, Properzio, Tibullo; epigrammi, alla maniera di Marziale; satire; ecloghe, ad imitazione di quelle scritte da Virgilio e Teocrito, ma anche da Dante, Petrarca e Boccaccio. Le ecloghe soprattutto, che celebravano il mondo pastorale, e che spesso celavano un sovrasenso allegorico, ebbero grande fortuna. In questo genere si cimentarono Leon Battista Alberti, Lorenzo de’ Medici, Poliziano, Sannazaro e Boiardo. Anzi, dall’ecloga detta dialogica, poiché costruita in forma di dialogo, nacque il DRAMMA PASTORALE, mentre l’ecloga monologica, in cui erano ravvisabili componenti narrative, diede origine al ROMANZO PASTORALE. Le richieste di intrattenimento che provenivano dagli ambienti cortigiani tardo quattrocenteschi furono all’origine di un ritrovato rapporto fra poesia e musica. Si composero frottole, cioè ballate di ottonari costruite su due o tre schemi ricorrenti, e strambotti, detti anche rispetti, costituite da stanze d’ottave, che non richiedevano grande impegno ed in cui si esercitarono fra gli altri Leonardo Giustinian, Serafino Aquilano, il Cariteo, Poliziano e Pulci. Accanto a questo tipo di esperienze liriche di per sé eterogenee, e tuttavia riconducibili ai principi dell’equilibrio, della compostezza, dell’armonia, desunti dagli autori della tradizione classica latina e volgare, si colloca la tendenza di una lirica aperta alla più avanzata sperimentazione, che nasce appunto dalla deviazione da quei principi, e si basa su procedimenti di accumulazione e di accostamento delle cose più eterogenee, come dimostra la produzione lirica di Domenico di Giovanni, detto il Burchiello.

NARRATIVA

Fra 1380 e 1470 la produzione letteraria in lingua volgare subì un calo a vantaggio di quella in lingua latina, costantemente alimentata dalla ricerca di un rapporto con il mondo antico e dalla pratica filologica degli umanisti. Nel quadro di un recupero del mondo classico si colloca ad esempio la fioritura dell’apologo, racconto di cui sono protagonisti anche animali o esseri inanimati, al fine di rappresentare sotto il velo dell’allegoria qualche verità morale e che si differenziano dalla letteratura degli exempla per la natura dei protagonisti e per la mancanza di un fine specificamente religioso. Tuttavia la narrativa in volgare non scomparve e, seguendo le prescrizioni della poetica contemporanea, si volse ad imitare una pluralità di modelli: in primo luogo Boccaccio, divenuto assai presto un classico del genere, quindi Sacchetti, la cui prosa era meno elaborata, più aderente al mondo quotidiano fiorentino ed ai valori positivi della sua borghesia, rappresentati con intenti moralistici, infine alla letteratura religiosa degli exempla. Nel rispetto di tali modelli, la narrativa quattrocentesca in volgare presentò un quadro variegato che, oltre alla produzione novellistica di Masuccio Salernitano, oltre ai vivaci exempla proposti nelle sue prediche da S. Bernardino da Siena, vide la fioritura di un nuovo genere: la facezia, cioè una breve novella comica, basata su una circostanza curiosa o paradossale, su cui si concentrò la curiosità di molti umanisti fra cui Poliziano, Ludovico Carbone (1435 / 1482) Arlotto Mainardi (1396 / 1484).

ROMANZO

Il panorama della letteratura quattrocentesca, prevalentemente dominato dalla lirica, presenta sporadici, ma significativi esempi di prosa, collocabile all’interno del genere romanzesco. Si tratta del cosiddetto romanzo pastorale di Jacopo Sannazaro: Arcadia, che creò la base per l’ambientazione ed i temi della letteratura pastorale europea, nonché del romanzo di Francesco Colonna: Hypnerotomachia Poliphili. Entrambi ricchi di riferimenti allegorici alla cultura ed alla società del tempo, i romanzi si differenziano per caratteri strutturali e linguistici. L’Arcadia presenta due grosse novità: l’ambientazione pastorale e idillica, ma anche l’uso del prosimetro, cioè di un misto di prosa e versi. L’Hypnerotomachia è un romanzo in prosa che, accogliendo reminiscenze dantesche, è strutturato come una visione allegorica in sogno e si pone come esperimento di associazione fra scrittura e disegno, sfumando in una serie di minuziose descrizioni di carattere enciclopedico. Sul piano linguistico, l’Arcadia si colloca in quella linea dell’umanesimo quattrocentesco che persegue un ideale di compostezza e di armonia, servendosi di una levigata strutturazione dei periodi, di una sapiente distribuzione delle pause e di un linguaggio epurato di quasi tutti i dialettalismi. L’Hypnerotomachia invece si serve con estrema ricercatezza formale di un linguaggio inconsueto e talora oscuro, dominato da latinismi, da neoformazioni linguistiche, da metafore, che collocano l’opera nell’area più aperta alla sperimentazione della letteratura quattrocentesca.

EPICA

Fino ai primi decenni del Quattrocento in Italia dove, per ragioni storiche, era mancata una vera epopea nazionale, ebbero enorme successo i racconti cavallereschi di Francia. Oggetto di rielaborazione, essi avevano dato origine ad una produzione imitativa in volgare che aveva trovato la sua punta più alta e una codificazione metrica nel poema in ottava rima: Teseida (1340 ca.) di Boccaccio. Parallelamente a tale produzione scritta, destinata alla lettura ad alta voce o silenziosa, la materia cavalleresca aveva avuto larga diffusione nei cantari, componimenti in rima scritti dai giullari o canterini e recitati nelle piazze, di fronte ad un pubblico popolare. La materia cavalleresca si modellava sulle chansons de geste francesi, composte fra XI e XII secolo nel clima delle crociate e dei grandi pellegrinaggi. Esse si ispiravano a due cicli: quello carolingio, che celebrava le imprese di Carlo Magno contro gli infedeli (IX sec.), e quello bretone, che si ispirava alla leggenda del re britanno Artù e dei suoi cavalieri cristiani in lotta contro Angli, Sassoni e Juti (V sec.). Nella seconda metà del Quattrocento il poema cavalleresco venne assunto nella letteratura colta, diventò cioè oggetto di un’attenta rielaborazione formale, talora evocando con intento parodico, come avviene in Pulci, il mondo popolare in cui si radicava la tradizione canterina, talora invece rivitalizzando la tradizione epica alla luce dei nuovi valori dell’umanesimo cortese, come avviene in Boiardo.

TRATTATISTICA

La progressiva perdita di libertà degli stati italiani e la disgregazione socio-politica che ne seguì, determinarono negli intellettuali del Cinquecento l’esigenza di rinunciare alle sperimentazioni linguistiche e letterarie che avevano caratterizzato la letteratura in volgare per cercare un’identità fondata almeno sulla condivisione di un terreno culturale. Pertanto, pur nella varietà dei dibattiti e nelle divergenze di opinioni, nella trattatistica si affermò definitivamente l’uso del volgare e si affrontò la questione di una lingua letteraria che fungesse da strumento di aggregazione; in particolare si cercò di individuare l’ambito geografico di provenienza del volgare e la sua genesi. Si cercò anche di definire un modello normativo del volgare e le possibilità di estensione del modello ad ampi strati della popolazione. Accanto al dibattito relativo alla individuazione di una lingua che servisse da strumento di aggregazione, la trattatistica fu anche sede di una discussione teorica, volta a delineare modelli comportamentali in cui potessero riconoscersi nobili ed intellettuali di tutti i centri italiani. Ad essa presero parte sia Castiglione che della Casa. Il trattato IL CORTIGIANO, di Castiglione, mira ad insegnare i buoni costumi all’uomo di corte ed a prepararlo a svolgere l’attività diplomatica, fino a diventare una sorta di buona coscienza del Principe. Il trattato GALATEO, di Giovanni della Casa mira invece ad insegnare le buone maniere ed il decoro all’uomo comune, che può apprenderle e praticarle. Questa differenza di intenti mostra che la sostanza dell’umanesimo civile, volto a formare l’uomo impegnato nella vita associata, ancora presente in Castiglione, nel GALATEO di della Casa è limitata alla pura forma, al privilegiamento dell’apparire sull’essere, forse perché l’autore era consapevole del fatto che la contingenza storica rendeva impossibile la realizzazione di quei grandi ideali. Dalla disgregazione degli equilibri nell’Italia signorile e dalla grave instabilità politica che ne derivò si sviluppò infine una trattatistica orientata a riflettere sulle forme di comportamento politico, necessarie per poter intervenire con efficacia sulla realtà contemporanea in quel momento di crisi. Tale riflessione acquistò portata rivoluzionaria in IL PRINCIPE, di Machiavelli. Ribaltando la concezione umanistica dell’uomo, basata sulla piena coerenza fra conoscenza, morale ed azione, egli delineò il principe come colui che sa fare coesistere il bene con il male, ritenuti entrambi necessari nella lotta per il dominio e nella gestione della vita sociale.

LIRICA

Nella lirica cinquecentesca, sulla scia della diffusione della Poetica e della Retorica di Aristotele, si assistette ad una definizione più rigida del sistema dei generi letterari e, di conseguenza, alla codificazione del modello di poesia fornito da Petrarca, che venne elevato al rango di “ottimo modello” ad opera di Pietro Bembo. Fino alla prima metà del Cinquecento, le esperienze poetiche di alcuni autori come Giovanni della Casa, Galeazzo di Tarsia, Luigi Tansillo e Michelangelo Buonarroti si collocarono sulla linea del petrarchismo bembiano, fondato su una imitazione integrale del mondo morale e ideale, della lingua e dello stile di Petrarca, e teso a realizzare quell’ideale di armonia che fu aspirazione etica di tutto il rinascimento. Il linguaggio lirico di Petrarca trovò ampia diffusione presso il pubblico aristocratico che, servendosi della forma più facile del sonetto, lo trasformò in abituale strumento di comunicazione e, con il passare del tempo, pur continuando ad assolvere il ruolo di esperienza di accesso al genere lirico, si ridusse ad un fatto di costume. Anche dame della piccola nobiltà o cortigiane si dedicarono a questo tipo di lirica volendo affermare una propria identità sociale attraverso il possesso di strumenti culturali. Nel graduale dissolversi dell’equilibrio petrarchesco e rinascimentale vennero a definirsi due specie di lirica: una sacra, con intento morale ed un’altra edonistica, composta per puro diletto o per festeggiare occasioni mondane. Questa lirica, definita manieristica, si differenzia dal petrarchismo cortigiano del Quattrocento, in quanto l’estenuazione dei canoni di tipo classicistico e l’avanzato sperimentalismo si fanno espressione dell’inquietudine dell’intellettuale in un periodo di profonda crisi di valori quale fu quello della Controriforma. Negli ambienti cortigiani, il rapporto fra poesia e musica che si era istituito verso la fine del Quattrocento, subì un’evoluzione profonda intorno al 1530, allorché dalla poesia per musica si passò alla composizione di poesia in musica. Questo mutamento di gusto segnò la nascita del madrigale, una forma poetica già presente nel Canzoniere di Petrarca, e che nella sua nuova utilizzazione, pose la musica sullo stesso piano della poesia. In una linea intermedia fra lirica, narrativa e dramma si collocano invece i poemetti di argomento mitologico idillico. Nei poemetti mitologici la narrazione del mito si intrecciò spesso con quella dell’origine di una città o di un luogo, i poemetti idillici inclusero invece motivi mitici in dolci paesaggi naturali e servirono a rappresentare una realtà lontana sia dal disordine della civiltà che dall’espressione incontrollata delle forze della natura, alludendo metaforicamente al desiderio di superare lo scontro ideologico fra contemplazione ed azione che era assai vivo nel dibattito fra gli intellettuali del Cinquecento. In questo genere si cimentarono poeti come Francesco Maria Molza (1489-1544) o Luigi Tansillo, mentre Luigi Alamanni (1495-1556), riprendendo il modello virgiliano delle Georgiche, scrisse un poemetto didascalico, volto ad offrire insegnamenti morali e pratici. Tuttavia nel Cinquecento si ebbero anche esperienze poetiche che proseguirono la sperimentazione anticlassicistica tardo quattrocentesca; fra queste! si annoverano la poesia di Berni e quella di Pietro Aretino. Attingendo alla tradizione di Burchiello e di Pulci, Berni inaugurò con le su Rime un vero e proprio genere giocoso, da lui detto bernesco, in cui si rovesciavano i modelli poetici seri e si prospettava uno stile di vita disordinato, indifferente ai grandi valori, e giocato sullo sfondo di corti papali ed ecclesiastiche trasformate in emblemi deformi e bizzarri. Diversa fu la polemica contro il classicismo di Pietro Aretino, che espresse un’insofferenza anarchica per i modelli precostituiti ed una esaltazione dell’ingegno naturale, fino quasi ad istituzionalizzare l’irregolarità.

BIOGRAFIA

I caratteri di una storiografia moderna si affermarono a partire dall’età umanistica, assumendo una fisionomia diversa rispetto alle cronache ed alle storie universali del Medioevo. Tuttavia, mentre per i primi umanisti la storiografia costituì uno strumento per celebrare la rinascita della civiltà contemporanea dopo secoli di barbarie, il modello proposto da Guicciardini, benché ancora legato alla storiografia classica, rivelò il carattere frammentario del divenire storico, e l’irrilevanza di schemi validi una volta per tutte.

Verso la metà del 1500 andò affermandosi una vera e propria trattatistica d’arte, e nel rinnovato valore assunto dalle arti figurative in seguito al fiorire del manierismo, videro la luce biografie di artisti, oppure autobiografie che testimoniano i conflitti tra l’artista, le proprie opere e il proprio tempo.

EPICA

Nella prima metà del Cinquecento un rigido ossequio ai dettami proposti nella Poetica aristotelica e l’introduzione di una retorica normativa di ascendenza oraziana imposero la tendenza a modellare i poemi epici sui capolavori del genere prodotti nell’antichità, soprattutto sull’Iliade e sull’Eneide. L’azione doveva essere unitaria e lineare, basata su eventi legittimati dalla storia o dalla tradizione e riferiti ad un unico protagonista. Su questa linea di rispetto classicistico di una serie di norme astrattamente dedotte da modelli, si mossero Trissino ed Alamanni. Tuttavia la grande epica cinquecentesca trovò la massima espressione in un’opera anticlassicistica, quale fu l’ORLANDO FURIOSO di Ludovico Ariosto. Sulla scia della sperimentazione linguistica che aveva caratterizzato la poesia tardo quattrocentesca, si collocò invece il poema BALDUS, di Folengo, che si avvalse di una lingua ibrida, mista di gergo dialettale, latino e neoformazioni lessicali e sintattiche, e diede origine alla tradizione della poesia maccheronica. Nella seconda metà del Cinquecento l’intensificarsi del dibattito sulle poetiche accese una serrata discussione sulla liceità del poema ariostesco, alla cui tradizione si ricollegavano molti scrittori. Il poema di Ariosto, che non rispettava i canoni dell’unità di luogo, di tempo, di azione e di protagonista venne definito poema romanzesco, mentre i poemi modellati sull’epica antica vennero detti poemi eroici. A questo secondo modello si ispirò inizialmente Tasso, per poi approdare ad una personale soluzione in cui le varie vicende venivano fuse in una struttura saldamente unitaria, basata su un’unica azione principale.

NARRATIVA

Nel corso del Cinquecento la produzione narrativa si orientò in più direzioni. Fino alla prima metà del secolo è possibile distinguere fra una produzione comunale ed una produzione cortigiana, che per lingua, stile, modelli e strutture fa riferimento al modello boccaccesco, codificato dalle teorizzazioni di Pietro Bembo. Tuttavia, fra gli stessi autori toscani, cui si può ascrivere l’orientamento comunale, l’imitazione di Boccaccio non fu regola esclusiva, e la novella subì l’influsso della tradizione toscana del genere, a cominciare da Sacchetti, diventando talora una sorta di rifugio per più libere sperimentazioni che, come nell’opera di Grazzini, sfociano in un estremismo audace e inesorabile. Fra i rappresentanti di una narrativa cortigiana, di area prevalentemente settentrionale, la novella si collegò alla consuetudine dell’intrattenimento di corte, ora manifestando un rigoroso ossequio al modello boccaccesco, ora divergendo da esso per l’introduzione di forme dialettali venete e lombarde, o per l’accentuazione di un realismo cronachistico ed apparentemente antiletterario. All’interno di tale orientamento si collocano Bandello, Straparola (1500 ca. – dopo il 1557). Verso la fine del 1500 si nota una negazione del modello boccaccesco, rilevabile nella dilatazione della cornice, ed una tendenza a contaminare la struttura narrativa con quella dialogica o argomentativa, cosicché la novella si avvicinò progressivamente al dialogo o al trattato, come appare evidente nell’opera di Erizzo.

COMMEDIA

Nella produzione letteraria italiana, il teatro – inteso come testo e rappresentazione – cioè come fenomeno che si realizza integralmente solo nella rappresentazione per la quale è stato concepito e scritto, fiorì nel Cinquecento. Esso tuttavia era presente fin dalla seconda metà del Quattrocento, quando testi recentemente riscoperti di commedie latine di Plauto e di Terenzio vennero rappresentati in lingua originale per un pubblico assai ristretto di umanisti. La paternità della commedia in volgare italiano spetta invece ad Ariosto, che scrisse e mise in scena la sua: CASARIA nel 1508. A partire da quel momento, il genere commedia fu oggetto di una codificazione che si basò per molti versi su quella presentata da Aristotele nella Poetica. Verso la metà del secolo, pertanto la commedia si avvalse di uno stile medio, venne suddivisa in blocchi di vicende equivalenti a cinque atti, fu preceduta da un prologo, e si basò su una serie di situazioni comiche precodificate o sulla caratterizzazione dei personaggi (comico di carattere). Il linguaggio usato dai personaggi fu orientato ad un forte sperimentalismo, in contrasto con la purezza linguistica vagheggiata da Pietro Bembo. Ludovico Ariosto, Pietro Aretino, Francesco Belo, Angelo Beolco, Bernardo Dovizi furono i principali esponenti del genere.

TRAGEDIA

La tragedia cinquecentesca nacque come forma drammatica destinata più alla lettura che alla rappresentazione. Il primo esempio di tragedia italiana fu SOFONISBA, scritta da Giangiorgio Trissino nel 1514-15. In quella fase iniziale, la tragedia in lingua italiana imitò modelli greci: Sofocle (496-406 a.C.) ed Euripide (485 ca.-406 a.C.), i cui testi erano stati oggetto di lettura diretta, e fu improntata alla regolarità ed all’equilibrio classicistico. L’interesse degli autori si concentrò sull’elemento razionale che domina le vicende, e dunque sul perfetto intreccio, mediante il quale si rivelano e soccombono i protagonisti. Intorno al 1550, il genere assunse un orientamento didattico per cui, volendo esaltare la ragion di Stato come norma regolatrice delle passioni, l’intreccio passò in secondo piano e si puntò l’accento sul personaggio, i cui comportamenti vennero adeguati alle tendenze sviluppate dalla trattatistica contemporanea. Sul piano scenico prevalsero gli effetti violenti, un gusto per l’orribile e per l’atroce, a imitazione delle tragedie latine di Seneca, e di cui fornì esempi numerosi Giraldi Cinzio.

RELAZIONI DI VIAGGIO

Le relazioni di viaggio costituiscono un genere collocabile ai margini della narrativa; si tratta di una scrittura semplice, aderente all’esperienza, la cui fortuna fu dovuta anche ad una crescente sensibilità geografica, accentuata dal verificarsi delle prime grandi esplorazioni. Tali relazioni presentano una tipologia assai varia. Si descrivono viaggi in Terrasanta, oppure nei centri di cultura umanistici, dove gli intellettuali si recavano per ragioni di studio e di carriera; vi sono poi relazioni che documentano viaggi diplomatici compiuti da ambasciatori nelle varie capitali degli stati italiani ed europei, oppure viaggi di scoperta geografi, connessi soprattutto ad interessi commerciali. Tutti questi scritti assumono oggi grande rilevanza come fonti a partire dalle quali operare una ricostruzione storica della vita politica, della mentalità e dei costumi del tempo.

TRATTATISTICA: LETTERATURA E POETICA

Il panorama teorico critico del Seicento ebbe come base comune la consapevolezza della modernità, che venne celebrata contrapponendola all’antico. L’antico, obiettivo polemico dei trattatisti, fu identificato con Aristotele e con i canoni espressi nella sua Poetica, in particolare quello della verosimiglianza e la concezione dell’arte come imitazione. Fondamento delle nuove poetiche fu invece l’idea che la poesia dovesse procurare piacere e meraviglia, sfruttando gli effetti sensuali del linguaggio. Pertanto, quando si fece ricorso alla retorica, fu solo per elaborare scritture ricercate, preziose. Non a caso questa età fu definita barocca, forse dal nome di una perla irregolare e bizzarra, che ben esprimeva il gusto dell’epoca, orientato verso forme inusitate, capaci di creare immagini mosse, molteplici, in cui maschera e verità, riflettendosi reciprocamente, si confondono e generano stupore.

TRATTATISTICA: METODO E SCIENZA

A partire dal Seicento, la scienza si ritagliò ambiti di ricerca autonomi, non più legati come in passato alla filosofia ed alla teologia. Per rivendicare tale autonomia, si fece riferimento alla coesistenza di due verità: quella della ragione e quella della fede. Questa tesi incontrò forti resistenze da parte della Chiesa. Nonostante ciò, la cultura scientifica speculativa, come la fisica e la matematica, si separò progressivamente dalla cultura letteraria avvalendosi di un metodo proprio e presentandosi come sapere preciso, connesso all’analisi di fenomeni oggettivi, verificabili e descrivibili mediante leggi generali. Per esprimere tale cultura fu creato un nuovo linguaggio, altamente tecnico, simbolico ed artificiale. Tuttavia gli scienziati italiani, e non solo Galileo Galilei, che fu il protagonista della ricerca scientifica del secolo, avvertendo la novità ed il valore trasgressivo delle loro teorizzazioni, cercarono di acquistare più vasti consensi fra chi si dilettava di studi scientifici, ma era estraneo alla cerchia degli specialisti. A costoro vennero indirizzate le opere meno tecniche e più brillanti che, per aumentarne la diffusione, furono redatte in lingua volgare, sebbene il latino fosse da sempre la lingua della scienza. La figura dello scienziato-letterato sopravvisse invece più a lungo nell’ambito delle scienze naturali, come dimostra l’opera di F. Redi o di L. Magalotti.

TRATTATISTICA POLITICA

La trattatistica politica nell’età della Controriforma fu caratterizzata da un radicale rifiuto delle posizioni espresse da Machiavelli e dalla messa in discussione della stessa legittimità di una scienza della politica che si fondava sulla ragion di stato e si proclamava autonoma, indipendente dalla religione e dalla morale cristiana. Tuttavia, poiché nella pratica le teorie di Machiavelli si erano diffuse al punto da caratterizzare un atteggiamento (il machiavellismo giustificava l’impiego della crudeltà e di uno spietato cinismo) si cercò un compromesso tra le esigenze di restaurazione morale espresse nel Concilio di Trento e le realistiche esigenze della prassi. Alla condanna del machiavellismo si oppose pertanto l’esaltazione dell’opera dello storico latino Tacito, che aveva giudicato duramente il comportamento dispotico dell’Imperatore Tiberio. Tacito divenne maestro di una nuova ragion di stato, basata sull’ambiguità e sul compromesso.

TRATTATISTICA MORALE E RELIGIOSA

Questo settore della trattatistica secentesca abbraccia una produzione devozionale sia di carattere apologetico, tesa cioè a difendere la verità della fede cattolica ed a confutare le tesi degli eretici, sia una produzione di marca soprattutto gesuitica consistente in prediche, spettacolari per forme e suggestioni, ed opere di carattere didascalico, aventi lo scopo di indurre il pubblico a praticare le virtù cristiane, di cui fornisce un esempio l’elegante prosa di Daniello Bartoli.

LIRICA

La lirica secentesca vide una fioritura di rime religiose, encomiastiche, amorose in cui prese forma quella poetica della meraviglia, dell’ingegno, dell’acutezza, del metaforismo concettuoso, che ebbe come caposcuola indiscusso Giovan Battista Marino. Quanto alle tecniche ed al repertorio di temi, la lirica dei seguaci di Marino, fra cui si annoverano Meninni, Lubrano, Dotti, si servì di materiali poetici tradizionali per riutilizzarli in contesti del tutto diversi rispetto a quelli in cui erano originariamente collocati, facendo ampio uso della catalogazione e della variazione, per trasmettere il senso di una continua relatività dei punti di vista. Invece i poeti del cosiddetto classicismo barocco, come Chiabrera o Testi, si rifecero al modello delle odi di Pindaro o di Orazio e, senza rifiutare l’estetismo ed il culto della meraviglia propri dell’epoca, crearono una poesia dalla struttura più semplice e lineare. Un caso unico nell’ambito della poesia barocca è costituito dalle Poesie filosofiche di Campanella, in cui si affrontano i temi della disuguaglianza sociale, del richiamo alla purezza evangelica, e che sul piano stilistico si avvicinano più alla poesia sacra medievale ed al modello dantesco che all’estetismo arguto della lirica secentesca.

BIOGRAFIA

Il panorama della narrativa secentesca si collega senza grossi mutamenti agli esiti tardo cinquecenteschi di una produzione orientata o in senso edonistico, oppure in senso moralistico. Taluni autori continuarono a fare riferimento al modello strutturale offerto da Boccaccio, e tuttavia si trattò di un’adesione solo esteriore. Risultati del tutto originali nell’ambito di una produzione edonistica, nata cioè a scopo di intrattenimento, vennero conseguiti da Giovan Battista Basile, le cui novelle recuperano le strutture della fiaba ed un patrimonio di temi e motivi folklorici, mentre sul piano linguistico utilizzano il dialetto, in grado di garantire possibilità espressive più libere rispetto alla lingua letteraria. Altrettanto originali nell’ambito di una produzione orientata in senso moralistico furono i racconti composti da Giulio Cesare Croce, che si mosse nella prospettiva di un moderato buon senso popolare.

ROMANZO

Il romanzo secentesco godette di una rapidissima espansione e diffusione. Il periodo di massima fioritura si colloca fra 1620 e 1670 e coincide con l’elaborazione di nuclei tematici fra loro assai eterogenei. Si ebbero infatti romanzi d’avventura, romanzi basati su tentativi di indagine psicologica, su fatti d’attualità, romanzi con intenti edificanti polemici, romanzi pastorali. Questi temi vennero trattati ora con un certo compiacimento per i toni torbidi, ora con il gusto per la galanteria, ora con bonario moralismo, che esprimono ben la sensibilità barocca, tanto quanto la tendenza a complicare all’estremo le macchine narrative, vanificando talora l’intreccio con frequentissime digressioni.

RELAZIONI DI VIAGGIO

Gli scritti di esperienze, accomunate sotto la dizione: relazioni di viaggi, anche se talora esse si orientano verso la trattatistica, o verso la storiografia oppure, data la presenza di elementi fantastici, verso il genere narrativo, si susseguirono in tutto il corso del Seicento e, assieme alle scoperte scientifiche, diedero grande impulso ad un cambiamento culturale relativo al modo di considerare il mondo e la natura. Il confronto con civiltà esotiche costrinse infatti a porre in dubbio il concetto di unità delle civiltà e a fare riflettere sulla relatività di costumi, tradizioni, religioni. Non a caso, infatti, in questo secolo riscossero grande favore di pubblico le descrizioni di viaggi in sconosciute terre lontane, redatte da scienziati come Magalotti, o da letterati in cerca di esotismo, come Pietro Della Valle (1586-1652). Un caso a sé, di eccezionale importanza dal punto di vista storico ed antropologico, fu costituito da una relazione sulla Cina, scritta dal gesuita maceratese Matteo Ricci (1552-1610), che per trent’anni vi svolse un’intensa opera di mediazione culturale e religiosa, assumendo il titolo di mandarino.

POEMI NARRATIVI: MITOLOGIA E EROICOMICI

Il problema, assai dibattuto verso la fine del Cinquecento, di collocare all’interno di un genere l’epica anticlassicistica di Ariosto, aveva condotto a due diverse classificazioni della materia: il poema eroico, che seguiva le unità di luogo, di tempo e di azione codificate nella poetica aristotelica, avvalendosi di un solo protagonista, e il poema romanzesco, che si allontanava da tali canoni. Nella cultura secentesca emersero le premesse per una reazione al dominio del poema eroico per cercare di far risorgere la tradizione epica. A tale scopo Tassoni diede origine al nuovo genere del poema eroicomico, mentre la linea del poema romanzesco trovò il suo capolavoro barocco nel poema di Marino: Adone, in cui lo sfondo mitologico viene inserito in un’esile struttura narrativa, dove predominano le descrizioni e le digressioni, che ribaltano totalmente le esigenze di unità espresse dai teorici cinquecenteschi.

COMMEDIA

Dal nuovo genere teatrale fiorito nel Cinquecento, la commedia secentesca si sviluppò secondo due orientamenti: da una parte si affermò la commedia dell’arte o commedia all’improvviso, affidata cioè all’improvvisazione di attori professionisti o girovaghi, che vivevano del proprio mestiere, offrendo i loro spettacoli ad un pubblico assai vario. In essa si portarono all’estremo le modalità precedentemente codificate, tuttavia il testo perse d’importanza, i personaggi vennero ad appiattirsi secondo una tipologia fissa, gli intrecci si fecero ripetitivi; si accentuò invece una comicità di bassa lega, che diede luogo ad un’aspra condanna da parte degli intellettuali del tempo. Dall’altra parte si ebbe uno sviluppo della commedia letteraria del primo Cinquecento, basata su un testo drammatico e destinata prevalentemente alla stampa o alla lettura di fronte ad un pubblico ristretto. Gli sviluppi di questa commedia letteraria furono assai diversi se si guarda al tipo di situazioni rappresentate. Tuttavia godette di un certo successo una produzione di tipo medio, ad intento moralistico, con intrecci di genere patetico e con scarse situazioni comiche, di cui fornì esempi il perugino Sforza Oddi.

TRAGEDIA

Il genere tragico nel Seicento presentò orientamenti diversi. Continuarono a svilupparsi sia la tragedia di stampo classico, si quella di stampo senechiano, che affrontava tematiche politiche. Quest’ultima tuttavia subì un processo evolutivo ed assunse una finalità ancor più spiccatamente didattica, anche per l’influsso delle poetiche teatrali elaborate dai Gesuiti, volgendosi a rappresentare il contrasto tra bene e male, di volta in volta personificato nello scontro fra cristiani e pagani o fra cristiani e protestanti.

DRAMMA PASTORALE

Il dramma pastorale è la rappresentazione di un amore contrastato, che si risolve in un lieto fine ed i cui personaggi appartengono al mondo mitico o pastorale. Questo genere teatrale si colloca nella tradizione della poesia bucolica greca e latina e in quella arcadica cinquecentesca, che faceva riferimento al romanzo. Nel corso del Cinquecento si era cercato di codificare la rappresentazione del mondo pastorale inserendola nel dramma satiresco, un’azione scenica che nell’antica Grecia veniva fatta seguire alle tragedie. Il dramma pastorale nacque da questo patrimonio di tradizioni ed acquisì struttura autonoma quando Tasso compose AMINTA, che presentava una divisione in cinque atti con prologo e cori, accompagnati da coreografie, danze e musiche, che ben si addicevano ad uno spettacolo creato per il divertimento della corte. Nel Seicento, la materia pastorale passò nei libretti del melodramma. Il primo libretto fu EURIDICE, di Ottavio Rinuccini, rappresentato con le musiche di Peri nel 1600, in occasione delle nozze di Maria dei Medici con Enrico IV.

TRATTATISTICA LETTERARIA

Nella prima metà del Settecento l’Italia partecipò al movimento illuministico europeo, che vide nella ragione lo strumento per liberare l’uomo dal pregiudizio, avviandolo verso una società giusta e felice. Nella trattatistica letteraria, la ricezione delle istanze illuministiche fu in taluni casi moderata o esteriore, dando luogo ad una linea arcadica, che si oppose al barocco – considerato espressione di decadenza – per affermare una poesia modellata sulla lezione dei classici, e tuttavia dotata di razionalità e di chiarezza comunicativa. Da altri l’illuminismo fu recepito come apertura critica alla realtà ed espresse la volontà di rinnovare la vita intellettuale in direzione dell’impegno morale e civile, ma anche di ripudiare ogni sterile retorica senza sopprimere i diritti della fantasia. Durante il trentennio che precedette le rivoluzioni francese e americana, si affermò invece una linea neoclassica in cui, svanita ogni fiducia in una ragione apportatrice di giustizia e di felicità, abbandonato l’impegno morale e civile, gli intellettuali distolsero lo sguardo dai problemi della società e teorizzarono la necessità di scandagliare le pieghe più oscure della coscienza individuale, le sue lacerazioni, la sua assoluta aspirazione alla felicità.

TRATTATISTICA: STORIOGRAFIA LETTERARIA

Nel corso del Settecento fiorirono gli studi degli eruditi, che si sforzarono di intervenire sulla realtà contemporanea ricercando le lontane matrici del presente. Essi infatti raccolsero dati e documenti per costituire cataloghi e repertori di vario argomento, tuttora preziosi per la conoscenza della storia giuridica, istituzionale o letteraria italiana.

TRATTATISTICA POLITICA

Nel corso del Settecento si ebbe un generale spostamento di interessi verso i problemi dell’uomo e verso le scienze centrate sull’uomo. Nella prospettiva laica dell’illuminismo, l’uomo era visto come appartenente nella sua totalità al mondo terreno. Per questo motivo assumevano nuova valenza sia l’analisi del rapporto individuo -società, sia la ricerca della pubblica felicità, cioè di una felicità condivisibile dal maggior numero di persone e fondata su una corretta giustizia sociale, sia infine l’analisi del rapporto natura -società, ovvero di come gli esseri umani si evolvano nel corso del tempo e della storia. Questi temi assunsero un ruolo centrale in alcuni settori tradizionali di studio, come il diritto, la riflessione politica, l’economia, che si articolarono sempre più in discipline specifiche, come dimostrano le elaborazioni teoriche di Genovesi, Filangieri, Verri e Beccaria. Anche nella storiografia si cercò un nuovo approccio metodologico, che permettesse di rinvenire legami causali tra i fatti storici, così da individuare le loro leggi di svolgimento. In tale prospettiva si orientò la riflessione
teorica di tre grandi storici italiani: Giannone, Muratori e Vico.

PROSA GIORNALISTICA

All’inizio del Settecento il termine giornalista indicava solo chi scriveva sui giornali, cioè su periodici di informazione culturale e libraria, diversi dalle gazzette, che erano organi di informazione politica. Il giornale fu uno strumento nuovo, che servì agli intellettuali, si pensi a Pietro Verri, per allargare ad un pubblico più ampio dibattiti teorici che venivano avviati contemporaneamente nei trattati, rivolti agli specialisti. Altri letterati come Bettinelli, Algarotti, Baretti usarono i giornali per divulgare la nuova cultura illuministica, riducendone tuttavia gli aspetti più nuovi ed autentici.

BIOGRAFIA

Il genere memorialistico fu assai frequentato nel Settecento. Si tratta di narrazioni a carattere documentario o narrativo, redatte da libertini, letterati o viaggiatori, che fornirono interessanti documenti della vita e della mentalità del secolo. Tali sono le memorie di Lorenzo Da Ponte, di Giuseppe Gorani, di Giacomo Casanova, ma anche le Lettere familiari di Baretti forniscono interessanti spaccati di ambienti e situazioni contemporanee. Una più attenta ricostruzione delle proprie scelte di vita si ha nelle autobiografie di Goldoni, Alfieri e Vico.

LIRICA: CLASSICISMO ARCADICO

Il primo Settecento fu caratterizzato da una poesia rispondente alla linea programmatica proposta dall’Accademia dell’Arcadia, fondata nel 1690 da Crescimbeni, Leonio, Zappi e Gravina. Regolando a suo modo l’esigenza di razionalità e di chiarezza comunicativa, l’Arcadia impose una nuova misura linguistica e stilistica, in cui si privilegiarono la struttura metrica della canzonetta, la sintassi semplice, un uso moderato della metafora, una facile cantabilità e l’elaborazione di un lessico meno vincolato alla tradizione petrarchesca, atto a nominare piccoli oggetti della vita quotidiana.

LIRICA: NEOCLASSICISMO

Il neoclassicismo fu un movimento culturale fiorito in età napoleonica (1780-1815) e caratterizzato da una struggente nostalgia per il mondo greco, riscoperto in Italia in occasione degli scavi archeologici di Ercolano che, riportando alla luce reperti di età ellenistica, offrivano esempi di quella grazia immota, esente da passioni, celebrata da J. Winckelmann nei suoi saggi sull’arte nell’antichità. In questa seconda metà del Settecento il neoclassicismo, contrassegnato da un gusto per l’allusione dotta, per le perifrasi, per le citazioni da autori classici di cui Savioli offrì eleganti saggi, si rifece ora ad una matrice oraziana, ora alla poesia notturna inglese.

LIRICA: PREROMANTICISMO

Il preromanticismo costituì una nuova sensibilità, languida e smorzata, che si affermò fra 1770 e 1815. Esso è riconducibile all’influsso esercitato in Italia dalla poesia notturna e sepolcrale tedesca ed inglese, permeata di classicismo, ma radicata in un patrimonio di miti e di mentalità, diverso da quello greco o latino. Rilevante fu anche l’influsso della poesie dello scozzese J. Macpherson, liberamente ispirata a frammenti di ballate del mitico cavaliere medievale Ossian, così come i temi diffusi dal movimento d’avanguardia Sturm und Drang, che esaltava il sentimento, il genio creativo del poeta, la spiritualità. In Italia, i temi e le modalità espressive di questi nuovi orientamenti vennero recepiti, ma in modo superficiale, per essere ricondotti ad una poesia ancora fortemente permeata di classicismo.

POEMI NARRATIVI EROICOMICI E SATIRICO DIDASCALICO

Il genere epico apparteneva all’ambito espressivo e comunicativo tradizionale, ma nel Settecento prevalse il genere eroicomico, che più era capace di accogliere le istanze polemiche e satiriche del secolo volgendole ad intenti moraleggianti. Gli esiti non furono di particolare rilievo, se si eccettua il poema satirico di Parini, mosso da intenti fortemente polemici e moralistici, che trovarono espressione in una scrittura elegante, ricca di sfumature sensoriali e di notazioni realistiche, che mostrano la compresenza di influssi del sensismo e del rococò.

FAVOLE E NOVELLE IN VERSI

Le favole e le novelle in versi si collegano strutturalmente al poemetto in ottave o in endecasillabi sciolti, assai diffuso nel Settecento. Le favole si rifecero al modello proposto da J. de La Fontaine, che aveva rielaborato l’antica favolistica orientale e classica, adattandola al classicismo in un’ottica razionalistica, con spunti di pungente ironia. Le novelle in versi si modellarono invece sulla struttura del poema cavalleresco o delle visioni di tradizione biblica o dantesca.

ROMANZO

Nato ai margini del sistema letterario ufficiale, nel corso del Settecento il romanzo fu utilizzato per rappresentare gli aspetti molteplici della società e per analizzare sentimenti e passioni degli individui. Oggetto di sperimentazione larga e diversificata in Francia ed in Inghilterra, il romanzo non ebbe larga diffusione in Italia, anche perché trovò ostacoli nell’ideologia classicista predominante. Il romanzo filosofico, sperimentato da Zaccaria Seriman non ebbe successo, mentre incontrò i favori del pubblico una produzione dominata dal gusto per l’avventuroso, che si colloca nella letteratura di consumo.

TEATRO: MELODRAMMA

Il melodramma, un genere teatrale che sviluppava l’elemento della spettacolarità, ricorrendo oltre che ai testi cantati, alla musica ed al ballo, fu oggetto nel Settecento di una riforma promossa da Metastasio e portata a compimento da Calzabigi e da Gluck. Metastasio cercò di rivendicare l’autonomia del testo poetico, cui la musica doveva fornire solo un commento sonoro. Calzabigi ricercò una maggiore coerenza fra il carattere dei personaggi e le loro vicende, ma anche una drammaticità totale, che doveva trovare espressione sia nelle parole che nella musica.

TEATRO: COMMEDIA

Alle soglie del Settecento il panorama della commedia italiana era caratterizzato da due orientamenti diversi, costituiti dalla commedia dell’arte che si fondava sulle capacità improvvisative degli attori, e da una commedia letteraria, che rielaborava la letteratura burlesca di tradizione cinquecentesca e che era destinata alla lettura piuttosto che alla rappresentazione. Questi due orientamenti trovarono una sorta di sintesi nella riforma della commedia attuata da Goldoni. Tuttavia, nel corso del secolo, si svilupparono anche tendenze diverse: quella rappresentata dalle opere di Pietro Chiari, che privilegiò trame avventurose, lontane dalla linearità che caratterizzava le commedie goldoniane, e quella rappresentata dalle opere del conte Carlo Gozzi, il quale inventò il genere delle fiabe teatrali, in cui l’invenzione fiabesca si esprimeva con leggerezza e genialità di invenzione.

TEATRO: TRAGEDIA

Il genere tragico, che nel teatro classico del Settecento francese raggiunse le sue punte più avanzate, trovò in Italia esiti altrettanto autorevoli solo nell’opera tragica di Alfieri. Infatti le tragedie di Scipione Maffei, nonostante le numerose traduzioni e imitazioni risolsero spesso l’analisi delle passioni e dei conflitti in puro esercizio verbale, mentre gli esempi forniti da Alfieri, presentano un’originale tensione fra equilibrio classico e continue fratture del linguaggio e del verso, che risponde al suo tentativo di trarre alcune conseguenze estreme dalla critica illuministica alla tradizione ed al dispotismo.

TRATTATISTICA: CRITICA E STORIOGRAFIA LETTERARIA

L’Ottocento fu il secolo del massimo sviluppo della storiografia letteraria, che aprì nuove prospettive di critica militante e che, aspirando a porsi come storia totale della vita nazionale, fornì linee interpretative dello sviluppo integrale della vita della nazione.

TRATTATISTICA LETTERARIA

PURISTI Il purismo fu una corrente letteraria sviluppatasi in età napoleonica, che rivendicò la purezza originaria del toscano degli scrittori del Trecento per affermare un’identità nazionale italiana contro le tendenze centrifughe e cosmopolite dell’Illuminismo. Esponente principale di tale corrente fu il padre veronese Antonio Cesari, da cui prese l’avvio una vera e propria scuola purista, cui aderirono alti letterati famosi come Pietro Giordani e Basilio Puoti, il quale elevò a modelli di purezza linguistica anche scrittori italiani del Cinque e del Seicento. CLASSICISTI Nella seconda metà del Settecento la cultura europea si aprì ad una nuova sensibilità neoclassica, che si ispirava ai modelli dell’Ellade classica. Il recupero della loro bellezza originaria significò per gli artisti affermare valori di moralità, di razionalità e di libertà, che assumevano portata rivoluzionaria. Il classicismo italiano fu caratterizzato da esigenze di linearità, eleganza e nobile compostezza di stile, ed ebbe fra i suoi teorici e difensori i puristi, ma anche gli intellettuali afferenti alla rivista La biblioteca italianaROMANTICI Il termine romanticismo si affermò in Italia a partire dal 1814 per definire un’arte ed una sensibilità nuove, diffuse in Europa tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800. La parola traduce l’aggettivo romantique, con cui in francese si indicava una commossa partecipazione interiore agli spettacoli offerti dalla natura e, in senso lato, una sensibilità moderna, distinta da quella classica. In Italia, il dibattito teorico sul romanticismo prese le mosse da un articolo della de Stael, apparso nel 1816 su un periodico milanese filoaustriaco: La biblioteca italiana. In esso si invitavano i letterati italiani a confrontarsi con la nuova cultura europea. Tra gli intellettuali che aderirono a tali posizioni Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri, Ermes Visconti, Giovanni Berchet, ribadirono la necessità di una battaglia culturale contro i classicisti, contro la loro poesia ripetitiva ed imitativa, contro l’abuso della mitologia e dei miti, ed esaltarono la poesia dei moderni, espressione della realtà contemporanea. SOLUZIONE DELLA QUESTIONE LINGUISTICA Nel periodo postunitario fu subito evidente alle classi dirigenti che l’alfabetizzazione e il conseguimento di una omogeneità linguistica erano condizioni necessarie alla costruzione di una Società moderna. Riemergeva così la secolare questione della lingua, cioè la definizione di un linguaggio normativo, ma non letterario, da promuovere ad uso nazionale. SCAPIGLIATI All’inizio degli anni ’60 prese vita a Milano un movimento di contestazione giovanile totale, metropolitano, detto scapigliatura, che ebbe la massima vitalità fin verso il 1880. Modello della scapigliatura fu un’avanguardia sorta a Parigi verso il 1850, la bohéme. La parola, che indicava i nomadi, gli zingari, era stata adottata dagli intellettuali francesi con intento provocatorio, per manifestare il loro disagio di fronte all’utilizzazione dell’arte a fini puramente commerciali. Tuttavia gli scapigliati (termine coniato da Cletto Arrighi) italiani si limitarono ad una feroce polemica nei confronti della classe politica postrisorgimentale, senza produrre alcun manifesto. VERISTI L’assimilazione della cultura naturalistica francese nell’Italia postunitaria si tradusse nell’affermazione di un orientamento particolarmente sensibili alla situazione determinata dall’impatto tra nuova realtà dello stato unitario e sacche resistenti al cambiamento.

TRATTATISTICA: IL DIBATTITO POLITICO-ISTITUZIONALE

Tutto l’Ottocento italiano fu attraversato da un dibattito politico istituzionale che trovò eco in una produzione trattatistica specializzata al punto da costituirsi come genere autonomo, indipendente soprattutto da pretese letterarie. Agli inizi del secolo, la crisi del concetto illuministico di ragione e il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 svilupparono la riflessione teorica di Vincenzo Cuoco. Dopo il 1830 la sconfitta dei moti carbonari spinse gruppi di intellettuali laici e repubblicani, fra cui Giuseppe Mazzini, ad impegnarsi nella elaborazione di programmi ideologici e politici più definiti, mentre nel mondo cattolico si affermava un’elaborazione concettuale di tendenza moderata ad opera di Vincenzo Gioberti. Dopo la repressione dei moti del 1848-49, intellettuali militanti come Pisacane avanzarono i primi progetti di integrale sovvertimento dei rapporti sociali, mentre ideologi come Cattaneo si concentrarono su una ricerca orientata in senso laico e razionale, ed aperta alla cultura europea.

TRATTATISTICA: INCHIESTE DEMOLOGICHE E SOCIOLOGICHE

A partire dal 1850 si diffuse in Italia una produzione eterogenea, riconducibile al genere del trattato e avente per oggetto le condizioni di vita delle classi popolari. L’attenzione per il popolo costituiva uno dei cardini della cultura romantica, ma questa produzione mirò ad un’esatta presa di coscienza dei mali che affliggevano il proletariato testimoniando lo stretto legame vigente fra esperienza letteraria e politica.

MEMORIALISTICA: BIOGRAFIA

Nel corso dell’Ottocento fiorì una vasta produzione di cronache, memorie, racconti, inseribili in una tradizione memorialistica già diffusa nel secolo precedente, che adesso assumeva una valenza più alta, sia per la maggiore attenzione con la quale la cultura romantica guardava all’individuo, sia perché le opere venivano composte con l’intento pedagogico di far sopravvivere la memoria di un recente passato.

LIRICA

Nel corso dell’Ottocento venne avviato un processo di dissoluzione e destrutturazione del linguaggio poetico tradizionale, che si compì solo il secolo successivo e che investì forme metriche, strutture sintattiche, la stessa semanticità del linguaggio. Nonostante ciò, l’opera di Leopardi costituisce un’esperienza poetica unica nel panorama del secolo. Lontano dal classicismo, pur ritenendo la natura unica ispiratrice di poesia, lontano anche dal romanticismo, pur accettando la critica alla mitologia e la necessità di una poesia moderna, non più basata sul principio dell’imitazione, Leopardi trasformò la poesia in lucida coscienza critica della realtà, creando un modello incredibilmente in anticipo rispetto al proprio tempo.

LIRICA: NEOCLASSICISMO

La nuova sensibilità neoclassica affermatasi in età napoleonica, diede luogo ad un’estetica carica di valenze etico-politiche, basata non solo sul richiamo all’antichità classica, ritenuta espressione di grazia sublime, ma anche sull’imitazione dell’arte greca, considerata paradigma del bello ideale. La lirica italiana ispirata a tale concezione si orientò verso il classicismo moderato di Ippolito Pindemonte e di Vincenzo Monti, l’uno teso a raggiungere uno stile di morbida misura, l’altro sempre pronto ad assumere posizioni ufficiali e a vivere la classicità come piacere della pura parola. Diversamente, Ugo Foscolo espresse una sensibilità neoclassica intesa come ricerca di valori assoluti e di una parola poetica densa e ricca di significanza.

LIRICA: ROMANTICISMO

La lirica romantica italiana si sviluppò nel primo ‘800 e recepì in parte gli esiti teorici della nuova estetica elaborata dall’idealismo tedesco. In essa si affermava che l’arte è esperienza assoluta e vitale, poiché rispecchia sentimenti e valori del singolo e della collettività; che è in continuo divenire, poiché tende a superare se stessa; che è libera dai condizionamenti della cultura e del gusto, poiché capace di creare una bellezza ideale. In Italia, tali principi vennero adattati alle esigenze di un pubblico borghese medio, con cui si identificò il popolo. In una prima fase, fino al 1848, fu elaborata una poesia realistica, politicamente impegnata. (La poesia civile di Manzoni, ispirata ai valori di una religione combattiva; la poesia dialettale di Carlo Porta e di Gioacchino Belli, volta alla rappresentazione di zone della realtà da sempre considerate impoetiche; quella di Giovanni Berchet e di Giuseppe Giusti, animata da spiriti risorgimentali). In una seconda fase, fino al 1870, si sviluppò una linea patetico-sentimentale (Aleardo Aleardi, Giovanni Prati).

LIRICA SCAPIGLIATURA

Gli anni compresi fra 1860 e 1880 videro sorgere e tramontare una nuova esperienza lirica, che accomunò gli intellettuali della scapigliatura, convinti che l’arte e l’artista fossero ormai emarginati da una società interessata solo allo sviluppo economico ed industriale. A tale senso di emarginazione, i poeti scapigliati risposero con un rifiuto del romanticismo languido, esteriore, che dominava il panorama della lirica italiana, sostituendo anzi alla celebrazione tradizionale della bellezza un’estetica dell’orrendo, dell’osceno. Altri temi salienti della lirica scapigliata furono la dissacrazione dei valori religiosi, la negazione della realtà intesa come processo organico e coerente, l’esaltazione della inessenzialità dell’arte, ma anche la nostalgia di valori e ideali su cui riedificare le certezze perdute. Arrigo Boito, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti tentarono la strada di una lirica scapigliata, che si caratterizza anche per il forte sperimentalismo metrico e linguistico.

LIRICA: RESTAURAZIONE CLASSICISTA

Nella seconda metà dell’Ottocento, la letteratura assunse un orientamento antiromantico ed antidealista, cioè un impulso a considerare con attenzione la realtà, vincendo tentazioni di fuga verso l’ideale, il sublime, il religioso. Nell’Italia postunitaria, avviata verso una nuova realtà industriale, l’esigenza di realismo si tradusse in un rilancio del classicismo, che permise di celare dietro le forme della tradizione greca e latina più diretti riferimenti alla vita quotidiana contemporanea. Il ritorno alla classicità, epurata degli aspetti più arcaici e convenzionali, significò anche opzione per la scrittura in versi, intesa come riaffermazione dell’antica cultura e della grandezza della nazione. La ricezione del classicismo in prospettiva retorica e nazionalistica spiega il successo e l’autorità con cui si impose la poesia carducciana, che generò una vera e propria scuola classicista, aperta ad intenzioni celebrative ed erudite.

ROMANZO STORICO

Il romanzo storico si diffuse in Europa in età romantica, in connessione con un nuovo interesse per la storia e per il Medioevo, che aveva visto la nascita delle antiche nazioni. In Italia il romanzo storico si affermò verso la fine degli anni ‘20 dell’Ottocento, quando comparvero le prime traduzioni dei romanzi dello scozzese Walter Scott, di ambientazione medievale, e diede luogo ad una vasta produzione. Per le sue caratteristiche intrinseche e per l’uso che ne venne fatto, il romanzo storico permise non solo un’evasione dal presente verso momenti che la cultura romantica aveva idealizzato, ma anche un’attualizzazione di eventi della storia passata con finalità civili e patriottiche. Alessandro Manzoni rielaborò in modo del tutto autonomo ed originale il modello scottiano, mentre altri autori, come il comasco Tommaso Grossi, Cesare Cantù, Domenico Guerrazzi, vi si attennero fedelmente e proposero storie di intrighi e di avventure.

ROMANZO REALISTICO PATETICO

Verso la fine dell’Ottocento fiorì una produzione narrativa media, rivolta ad ampi settori di pubblico borghese o piccolo-borghese, con intenti educativi e formativi. Essa, pur rimanendo fedele ai moduli naturalistici, fu mossa da una forte passione civile-progressista, rivelando un fondo di viva sensibilità romantica ed una ferma fiducia negli ideali risorgimentali. La volontà etico-didascalica che muove questa produzione si dichiara nell’uso di un registro melodrammatico, usato allo scopo di colpire l’emotività del lettore, che viene chiamato a partecipare in prima persona alla lotta fra bene e male che viene messa in scena nel racconto.

ROMANZO D’APPENDICE

L’espressione romanzo d’appendice si riferisce ad una narrativa pubblicata a puntate, in appendice a quotidiani e riviste. Questo genere di romanzo, che costituisce una prosecuzione di quello popolare, già diffuso all’estero nel corso del ‘700, presenta una struttura fortemente subordinata ai tempi di pubblicazione del periodico ed alla necessità di spingere i lettori ad acquistare il numero successivo, cosicché la trama nasce da un susseguirsi di vicende avventurose o sentimentali, contrassegnate da continui colpi di scena. Tra gli autori che si cimentarono con maggiore successo in questo genere, vi furono Carolina Invernizio e Francesco Mastriani.

ROMANZO CAMPAGNOLO

L’espressione romanzo campagnolo fu coniata dallo scrittore Cesare Correnti, che in un articolo comparso su Rivista europea nel 1846 e indirizzato all’amico Giulio Carcano, rivolgeva agli scrittori contemporanei un invito a risollevare le sorti della letteratura rusticale, ovvero di quella tradizione letteraria italiana che aveva tratto ispirazione dalla vita schietta ed operosa dei campi. L’invito fu accolto da numerosi narratori, fra cui Ippolito Nievo, Caterina Percoto e lo stesso Carcano, che diedero vita ad una letteratura di orientamento democratico-umanitario, tesa o alla denuncia delle condizioni di vita delle classi povere, o ad una rappresentazione idilliaca ed elegiaca della campagna.

ROMANZO SCAPIGLIATO

All’inizio degli anni ’60 prese vita a Milano un movimento di contestazione giovanile totale, metropolitano, detto scapigliatura, che ebbe la massima vitalità fin verso il 1880. Modello della scapigliatura fu un’avanguardia sorta a Parigi verso il 1850, la bohème. La parola, che indicava i nomadi, gli zingari, era stata adottata dagli intellettuali francesi con intento provocatorio, per manifestare il loro disagio di fronte all’utilizzazione dell’arte a fini puramente commerciali. Gli intellettuali italiani, accomunati a quelli parigini da una condivisione di intenti, cercarono di tradurre il nome del movimento francese, e per l’occasione lo scrittore Cletto Arrighi coniò il termine scapigliatura. Tuttavia gli scapigliati furono poco precisi nell’analitica definizione di nuovi canoni poetici e non produssero un manifesto programmatico del movimento, limitandosi ad una feroce polemica nei confronti della classe politica postrisorgimentale.

ROMANZO VERISTA

Negli anni Sessanta dell’800 cominciò a diffondersi in Italia il termine verismo, per designare una nuova narrativa che guardava al modello proposto dal naturalismo francese e da Zola, di una letteratura cioè capace di rispecchiare le forme concrete della realtà, cercando di prendere le distanze dai modelli romantici ed in particolare dal realismo manzoniano. I maggiori risultati del verismo italiano nacquero pertanto dal confronto con i modelli francesi, ma anche da un interesse per le realtà regionali e trovarono i loro massimi esponenti in Verga, Capuana e De Roberto.

ROMANZO REALISTICO

Gli anni Cinquanta dell’Ottocento furono caratterizzati da un rinnovato impegno degli intellettuali nella lotta risorgimentale e da una più attenta partecipazione ai problemi della società contemporanea. Sul piano della letteratura, questo atteggiamento si tradusse nel bisogno di confrontarsi con problemi concreti e di sottoporre la realtà ad un’analisi rigorosa, rifiutando il romanticismo languido e sentimentale che riscuoteva ancora grande successo. Ippolito Nievo, con il romanzo LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO, mostrò di accogliere in pieno questo nuovo orientamento realistico.

TEATRO: TRAGEDIA

Il teatro drammatico italiano dell’800 fu caratterizzato da una vasta produzione di carattere celebrativo o esortatorio che, priva di una forte carica scenica e teatrale, assume oggi valore di testimonianza. Tra i generi drammatici prevalse la tragedia storica, spesso di ambientazione medievale, che esprime la ricerca delle radici di una identità nazionale, propria della cultura romantica. Tema saliente fu quello dello scontro fra la volontà di autorealizzazione del singolo ed i limiti impostigli dal destino. In questo tipo di produzione si distinsero Monti, Foscolo, Pellico, Manzoni, Niccolini.

TEATRO: MELODRAMMA

Il genere del melodramma ottocentesco non solo visse una fortunata stagione, ma si rivelò anche capace di realizzare una teatralità assoluta, rompendo le forme chiuse stabilizzatesi nei secoli precedenti e facendo irrompere la musica in tutti i momenti dell’azione scenica. Anche il libretto musicale perse l’autonomia di cui aveva goduto all’epoca di Metastasio, e venne subordinato al discorso musicale. Le trame di cui si avvale il melodramma ed il linguaggio usato presentano qualcosa di schematico, di ripetitivo, di artificioso. Prevale un uso aulico e convenzionale del linguaggio, che ha la funzione di proiettare l’espressione romantica della passione verso una dimensione collettiva, corale, in linea con le esperienze più grandi del romanticismo europeo.

ROMANZO DI AREA NATURALISTA

La varie esperienze letterarie che si svolgono fino alla fine dell’800 si collegano alle modalità espressive del naturalismo, partendo dal presupposto che il linguaggio possa registrare direttamente le forme della realtà. La ricerca della realtà si concentra sulla rappresentazione di precisi ambiti regionali e locali, mostrando talora una forte propensione per gli aspetti folklorici, e si intreccia ad esigenze morali e spirituali, in cui si avverte l’influsso dell’irrazionalismo e dello spiritualismo ed il tramonto della grande stagione realistica.

TEATRO: COMMEDIA

Nell’Ottocento, mentre in Europa si diffondeva una ricca produzione di intrattenimento, gli scrittori italiani mostrarono una vocazione per così dire analitica, volta in primo luogo a demistificare i riti della borghesia egemone, pronta a barattare l’autenticità dei sentimenti con il rispetto perbenistico delle apparenze, in secondo luogo a porre in evidenza i contrasti sociali che opponevano borghesia e proletariato, in terzo luogo a delineare valori e comportamenti tipici di circoscritte realtà regionali. Rappresentativa della prima tendenza è l’opera di Giacosa, mentre tanta produzione propagandistica si muove nella seconda direzione, ed il teatro di Salvatore Di Giacomo o di G. Verga è rappresentativo del filone dialettale e regionale.

NARRATIVA E TEATRO NELL’ETÀ DEL DECADENTISMO

Il decadentismo fu un’esperienza culturale che, nata in Francia in seno alle avanguardie storiche, si irradiò in tutta Europa per esprimere la crisi della classe borghese, la sfiducia nella ragione e nella scienza, celebrate dal positivismo, l’impossibilità di rappresentare una realtà massificata ed alienante. Sul piano letterario, questo atteggiamento si tradusse nella volontà di uscire dagli schemi di una letteratura suddita del naturalismo e di trovare nuove modalità stilistiche ed espressive. La produzione narrativa decadente porta alla ribalta protagonisti-narratori accomunati da una vocazione alla rinuncia, alla fuga, travagliati da conflitti interiori che raccontano il loro universo limitato contaminando i piani cronologici e procedendo per analogie, più che per rapporti di causa-effetto. Anche nel teatro si ricercano tematiche e tecniche svincolate dal naturalismo, ora privilegiando la parola evocativa, ora rappresentando in modo grottesco le disarmonie della società contemporanea, ora distruggendo dall’interno le convenzioni del teatro borghese per fare emergere la finzione e l’inautenticità che regolano i rapporti nella vita associata.

POESIA SIMBOLISTA

Il simbolismo nacque in Francia nel clima del decadentismo, di cui anzi costituì il momento intellettuale. Esso si connotò come ricerca, attraverso la poesia, di un mondo perfetto, senza tempo, e come tale compensatorio delle frustrazioni ingenerate nell’intellettuale dallo scontro con la realtà. Tale ricerca si concretizzò in una poesia codificabile entro una poetica unitaria e coerente, e basata sulla commistione di stili, sulle analogie, sui fonosimbolismi, sull’uso di metafore. In Italia, la qualifica di poeti vicini all’area simbolista è stata attribuita, in modo talora discusso, a Giovanni Pascoli, che si serve del dato naturalistico come simbolo di una dimensione “altra”, afferente al mistero ed alla condizione esistenziale dell’uomo e a Gabriele D’Annunzio, che usa la parola poetica per dare voce all’ignoto, nel tentativo di raggiungere una purezza quasi metafisica.

POESIA CREPUSCOLARE

La definizione di poesia crepuscolare risale a Giuseppe Antonio Borgese, che la coniò in un articolo apparso su La Stampa nel 1910; essa definisce l’esperienza poetica di un movimento che, rifiutando qualsiasi forma di impegno ideologico, di superomismo, qualsiasi velleità aristocratica, fosse anche l’assunzione di uno stile elegante e ricercato, tende ad esprimere l’alterità del poeta rispetto al mondo contemporaneo e persegue tale scopo servendosi di uno stile dimesso, quasi prosastico con cui celebra luoghi, situazioni, oggetti di un universo piccolo borghese, trasfigurati in simboli di disadattamento alla vita. A quest’area sono ascrivibili poeti come Guido Gozzano, Corrado Govoni, Marino Moretti, Sergio Corazzini, Aldo Palazzeschi.

POESIA FUTURISTA

Il futurismo fu un movimento di avanguardia che investì non solo la letteratura, ma tutte le manifestazioni dell’arte, della cultura e della politica. Esso ebbe una sua poetica “ufficiale” nel 1909, allorché Filippo Tommaso Marinetti ne pubblicò il manifesto teorico, incentrato su alcuni punti fondamentali: vitalismo irrazionalistico, culto della violenza, esaltazione della macchina, della guerra, del nuovo, del moderno contro tutte le istituzioni rappresentanti il passato e la tradizione, come i musei, le accademie, le biblioteche. Sul piano formale, la letteratura futurista si ripromise di operare sul linguaggio ed attraverso il linguaggio, rifiutando le forme chiuse, armoniche e regolari, abolendo aggettivi ed avverbi utilizzando i verbi solo all’infinito, accostando parole prive di nessi logici apparenti.

SPERIMENTALISMO DELLA RIVISTA “LACERBA”

La rivista italiana di letteratura Lacerba, fondata nel 1913 a Firenze da Giovanni Papini e Ardengo Soffici in polemica con La voce, durò fino al 1915. Caratterizzata da un orientamento antitradizionalista e ribellista, diede spazio agli scritti dei futuristi, accogliendo anche le istanze delle avanguardie artistiche e letterarie d’oltralpe, fino a farsi portavoce della propaganda a favore dell’intervento italiano nella 1° guerra mondiale.

LA RIVISTA “LA VOCE”

Fondata da Giuseppe Prezzolini nel 1908, durò fino al 1916 ed ebbe fasi ed orientamenti diversi. Sotto la direzione del fondatore, la rivista affrontò problemi di rinnovamento culturale; a partire dal 1912, sotto la direzione di Giovanni Papini, si aprì ad una sperimentazione letteraria che fece parlare di “espressionismo vociano” (l’espressionismo fu una corrente culturale sorta in Germania ai primi del ‘900 come reazione al naturalismo e all’impressionismo. Caratterizzata da un radicalismo anarcoide, oscillò fra un’aspra rivolta contro la norma, un’aspirazione al rinnovamento dell’umanità e una tensione verso il misticismo); dal 1914 essa si trasformò in rivista dell’idealismo militante, appoggiando posizioni irrazionalistiche e interventiste; dalla fine del 1914 al 1916, sotto la direzione di Giuseppe De Robertis, si trasformò in rivista puramente letteraria.

LA NUOVA POESIA TRA LE DUE GUERRE

Il periodo che precedette la 1° guerra mondiale accolse i fermenti avanguardistici del decadentismo, del futurismo, del crepuscolarismo che in modo diverso attuarono un superamento dei linguaggi poetici tradizionali; il periodo che la seguì immediatamente fu contraddistinto da orientamenti di tipo espressionista, da una lirica impegnata nella restaurazione classicista, da fermenti surrealisti, anch’essi di marca avanguardistica. Assolutamente estraneo al clima contemporaneo, Umberto Saba aderì alla molteplicità di aspetti del quotidiano, restaurando le forme metriche tradizionali mentre Giuseppe Ungaretti, realizzando una nuova sintassi lirica, operò un rinnovamento formale della poesia e creò le premesse necessarie alla nascita dell’ermetismo.

PROSA NELLA RIVISTA “LA RONDA“

Fondata dopo la conclusione della guerra, nel 1919, La Ronda durò fino al 1923. Curata tra gli altri da Riccardo Bacchelli, Emilio Cecchi e Vincenzo Cardarelli per operare una sorta di controllo dell’attività letteraria, prende le distanze dalle posizioni sostenute nella rivista Lacerba, da quelle dei vociani, ma anche dai miti dannunziani. Si fece pertanto propositrice di una prosa di elaborata compostezza, distaccata dalle problematiche politico – sociali che prelusero all’instaurazione del fascismo.

LA RIVISTA “NOVECENTO” E LA PROSA DEL REALISMO MAGICO

Edita dal 1926 al 1929, la rivista 900 fu fondata da Massimo Bontempelli, che pur essendo interno al regime, in quanto membro dell’Accademia d’Italia, rifiutò il culto della tradizione e l’autarchia culturale celebrati da Mino Maccari nella rivista Il selvaggio, aprendosi alla cultura ed alle tendenze straniere. Vicino all’esperienza solariana nel rifiutare la cosiddetta prosa d’arte, egli teorizzò modalità e tecniche narrative che definì “realismo magico” e che consistono in una sorta di gioco combinatorio fra razionalità e mistero, fra realtà e mito.

PROSA E REALISMO NEGLIA ANNI TRENTA

Negli anni Trenta, all’interno della cultura fascista volta ad esaltare i valori borghesi, ma in opposizione ad essa, si sviluppò con modalità variegate e non sempre univoche, un nuovo realismo moderno, lontano sia dai più diretti schemi naturalistici che dalle deformazioni espressioniste. Esso si propose di fornire un’analisi della realtà restituendo inalterati i conflitti fra individuo e società. Sul piano formale, il realismo supera il culto per “la bella pagina”, proposto dai rondisti, ma anche la chiusura autarchica della cultura fascista e tende a reinserire la cultura italiana nella grande narrativa straniera del novecento.

POESIA DELL’ERMETISMO

Il termine ermetismo venne coniato da Francesco Flora in un saggio del 1936, in cui polemizzava contro l’oscurità della poesia di Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale. Oggi con questo termine si intende una scuola poetica, sorta negli anni Trenta – Quaranta in area fiorentina, dotata di un proprio manifesto programmatico, redatto da Carlo Bo, oltre che di organi di diffusione, e cioè le riviste: Il Frontespizio, Campo di Marte e Letteratura. Nel contesto del difficile rapporto fra intellettuali dissenzienti e fascismo, che vide i primi orientarsi verso la lotta politica oppure verso la letteratura, la poesia ermetica traduce nei temi dell’assenza, dell’attesa, il rifiuto del regime ponendosi come ricerca esistenziale, metafisica ed etica, come tensione verso l’inesprimibile, l’assoluto per ritrovare una purezza ed un’essenzialità perdute. L’uso di analogie, di metafore fantastiche, la predilezione per termini astratti, il ritorno ai metri tradizionali traduce la volontà di restituire forza ed innocenza almeno al linguaggio.

REALISMO FANTASTICO O PROSA SURREALE

Il realismo fantastico si formò tra gli anni Venti e Trenta in Italia, sulla scia della poetica che Massimo Bontempelli andava precisando sulla sua rivista ‘900 e che sfociò in una produzione narrativa che si rifaceva ad istanze fantastiche già presenti nella letteratura romantica d’oltralpe e nella scapigliatura italiana, per riflettere sulla condizione e sul destino dell’uomo, colto in una quotidianità che rivela zone di mistero e di assurdo.

NARRATIVA NEOREALISTICA TRA DENUNCIA E MEMORIA

Il termine neorealismo, coniato nel 1942 dal montatore cinematografico M. Serandrei in relazione al film Ossessione di Lucchino Visconti, si estese poi all’ambito letterario, dove fu usato con valenze ora positive, ora negative per indicare la letteratura immediatamente posteriore al periodo della Resistenza, caratterizzata da un modo nuovo di rappresentare la realtà popolare e da una consapevolezza etico politica, collegata ad un nuovo e vigoroso senso della collettività, intesa come forza attiva e comunicante. Il ruolo, quantunque assai dibattuto, di maestri del neorealismo venne attribuito a Cesare Pavese e ad Elio Vittorini.

TEATRO E NEOREALISMO

Il periodo che va dal dopoguerra fino agli anni Sessanta presenta una sorta di vuoto di testi teatrali, mentre la sperimentazione e la ricerca sono vive nella regia e nel lavoro dei teatri stabili. Il teatro neorealista si esprime ancora con testi che si risolvono in indagini sociologiche ed in una sorta di teatro-testimonianza. Una grossa eccezione è costituita dal teatro di Eduardo De Filippo che, nella sua opera teatrale, mette in scena il distacco dell’intellettuale dalla società e la sua solitudine in un mondo privo dei valori di umanità e di solidarietà.

NARRATIVA E TRADIZIONE NOVECENTESCA

Un grande numero di scrittori, che fu attivo negli anni del dopoguerra e dello sviluppo dell’Italia in senso neocapitalistico, si collocò sulla scia della narrativa precedente, orientata in senso realistico e volta ad una rappresentazione critica della realtà, evitando di rompere i tradizionali equilibri linguistici e strutturali del racconto e del romanzo.

POESIA E TRADIZIONE NOVECENTESCA

Nel nuovo orizzonte politico e culturale creatosi nel dopoguerra, alcuni poeti rimasero estranei al neorealismo e si ricollegarono ai modelli ed alle forme della tradizione lirica novecentesca. Taluni, come Carlo Betocchi, Sandro Penna e Giorgio Caproni, cercarono un più immediato rapporto con la realtà, ricollegandosi a Umberto Saba anche per la scelta di un linguaggio più tradizionale. Altri come Vittorio Sereni, presero a modello la poesia di Eugenio Montale ponendosi come scopo la ricerca del significato del mondo e dell’esistenza; altri ancora, come Mario Luzi, si rifecero all’ermetismo, ma superarono la chiusura del linguaggio, tipica di quell’esperienza poetica, tramite la fiducia nel carattere conoscitivo della poesia, vista come veicolo del rapporto fra l’io ed il mondo.

NUOVA NARRATIVA NELL’ERA INDUSTRIALE

La trasformazione del tessuto sociale italiano verso la modernità, la progressiva definizione di una nuova identità italiana negli anni compresi fra le due guerre e nel secondo dopoguerra trovarono un attento critico in Carlo Emilio Gadda, la cui opera fu volta a smascherare gli stereotipi di pensiero e di parola, mediante i quali la borghesia contemporanea si rivelava priva dei valori di praticità, di concretezza, di razionalità e di morale di cui faceva la propria bandiera.

NUOVA POESIA NELL’ERA INDUSTRIALE

Le radicali trasformazioni della civiltà occidentale dal decollo industriale italiano fino agli anni Cinquanta e Sessanta, furono al centro della riflessione matura di Eugenio Montale. Difficilmente collocabile in una corrente specifica, egli fu uno di quei poeti del Novecento che fecero parte per sé e che, in forma esemplare e durevole, diedero voce al disagio dell’intellettuale contemporaneo posto al cospetto di una società dove il benessere ha spesso i connotati della disperazione e l’arte viene ridotta a industria, a spettacolo, a materiale da consumo, da usare e gettare via.

POESIA E PROSA FRA SPERIMENTAZIONE E NEOAVANGUARDIE

Il periodo compreso fra dopoguerra ed anni Sessanta, è caratterizzato da radicali trasformazioni sociali, dallo sviluppo industriale e dalla crisi della cultura di sinistra, fenomeni questi che diedero luogo ad aspre battaglie intellettuali e ad atteggiamenti sperimentalistici, volti a produrre una letteratura impegnata, avvalentesi di strumenti non precostituiti, capace di interagire criticamente con la realtà e di modificarla. Lo sperimentalismo degli anni ‘50 trovò spazio sulle pagine delle riviste Menabò ed Officina. Lo stesso intento mosse più tardi un altro gruppo di intellettuali, riuniti nel cosiddetto Gruppo ‘63; che mossero da un rifiuto polemico della letteratura del dopoguerra per rifarsi al modello delle avanguardie storiche ed allargare gli orizzonti della cultura italiana ad un ambito internazionale.

NARRATIVA VERSO IL TERZO MILLENNIO

Dagli anni Sessanta ad oggi, la società ha assistito al trionfo del capitalismo, della spettacolarità, dell’informatica, della telematica, e ha visto sorgere la cultura del postmoderno, che in Italia si è manifestata attraverso una congerie di atteggiamenti intellettuali, cui si sono affiancate forme di opposizione e di resistenza da parte di scrittori e narratori che hanno continuato a fare riferimento ai valori della ragione, della passione, dell’esperienza, propri della tradizione culturale occidentale dall’Illuminismo all’avanguardia. Fra costoro, Italo Calvino, ha avuto la capacità di trasferire tali valori in una narrativa carica di passione, inventiva e di tensione critica razionale e conoscitiva, ed ha risposto con equilibrio e coerenza ai più vari
interrogativi generati dalla realtà e dalla cultura contemporanee.

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